IL DONO

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Maty
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Re: IL DONO

Messaggio da Maty » 12 lug 2016, 9:05

Capitolo 10

Il tenente Masha Nichols era sempre più nervosa.
Era almeno mezz’ora che il comandante Scott, capo ingegnere dell’Enterprise, andava avanti e indietro gettando occhiate furtive in giro.
E lei si stava preoccupando sempre più. Fra tre giorni doveva passare la sua prima valutazione, e Montgomery Scott non si faceva scrupoli a spedire chi non la superava sul primo trasporto diretto alla Terra.
“Accidenti…” borbottò Scott, mentre passava davanti alla console della donna.
Per Masha fu troppo.
“Signore, posso parlare liberamente?” chiese con il cuore in gola.
Il comandante Scott alzò per un attimo lo sguardo verso di lei.
“Sì… certo tenente… mi dica…” rispose, mentre continuava a guardarsi in giro.
“Sinceramente preferirei sapere se c’è qualcosa che non va nel mio lavoro, se ho fatto qualcosa di sbagliato” chiese la ragazza con aria contrita.
“Cosa? No… perché lo pensa?” fece a sua volta Scott mentre iniziava a fissare un punto indefinito dietro Masha.
“Perché è già la quinta volta che passa e osserva tutto quello che faccio. Se ho sbagliato qualcosa mi farebbe piacere…”
Il giovane tenente non riuscì a finire la frase perché il comandante corse verso la console posta dietro Masha.
“Brutto furfante, ti ho trovato finalmente” rise mentre si sporgeva e cercava di afferrare un piccolo piede.
Risate infantili si levarono altissime, mentre lo scozzese tirava fuori Jimmy e iniziava a fargli il solletico.
“Ok… hai vinto signor Scotty. Ma ci hai messo quasi mezz’ora a trovarmi” ridacchiò il bambino.
“Ora tocca a me nascondermi...” propose l’ingegnere.
“Mi spiace signor Scotty, ma il dottor Bones mi sta aspettando per la cena: se faccio tardi inizia a diventare tutto rosso e si arrabbia e poi dice continuamente ‘maledizione Jimmy’ e poi…”
“Ok piccolo, ho capito. Giochiamo domani. Buona cena” augurò Scotty, mentre Jimmy prendeva la mano dell’infermiera Chapel che lo stava aspettando paziente.
“Mai visto un ragazzino nascondersi così bene. Ha un vero talento. Mi stava dicendo qualcosa tenente Nichols?”
Scotty si rivolse alla ragazza con ancora un gran sorriso sul volto.
“No signore, niente, lasci perdere” rispose Masha.

Jimmy era da tre mesi sull’Enterprise, e aveva completamente e pacificamente sconvolto le abitudini e l‘umore dell’equipaggio.
C’era una sorta di guerra non dichiarata fra tutto l’equipaggio di comando a chi si accaparrava più tempo e attenzioni di Jimmy, con attacchi di vera e propria gelosia, come quando Chekov e Sulu aveva avuto un litigio furibondo su chi dovesse portare il bambino sulle spalle per farlo giocare a basket.
Uhura quale garante degli ordini del giudice si era dimostrata inflessibile, tanto nei confronti di McCoy quanto nei confronti di Spock, e aveva regolato a perfezione gli orari in cui tenevano Jimmy, in modo che tra i due sorgessero meno occasioni di conflitto possibile.
E Jimmy si mostrava altrettanto bravo a smussare qualsiasi battibecco, esattamente come faceva da adulto.

“Bones…” chiamò Jimmy seduto al tavolo per la cena, con il suo piatto di verdure e formaggio davanti.
“Dimmi Jimmy” rispose McCoy continuando a mangiare la sua insalata di pollo.
“Posso avere hamburger e patatine?” chiese il bambino guardando con disgusto la sua cena.
“Ti ho già detto che molta carne rossa fa male e che le patatine fritte…”
“Sono veleno per il fegato, lo so” continuò il bambino sbuffando.
Dopo alcuni minuti di silenzio Jimmy riprese la battaglia.
“Ma Pavel le sta mangiando e non mi sembra che abbia il fegato avvelenato” fece indicando il navigatore al tavolo accanto.
McCoy sospirò, a volte Jimmy poteva essere fastidioso quanto la sua versione adulta.
“Ognuno è libero di farsi scoppiare il fegato quando è adulto. Da bambino no, devo pensare io a te” concluse.
Seguirono altri minuti di silenzio, senza che Jimmy si decidesse a mangiare.
“Ma Pavel lo sa che gli può scoppiare il fegato? Perché forse è meglio che lo avvisiamo…”
“Jimmy!! Basta!!” sbottò McCoy.
Finalmente il bambino si decise a prendere la forchetta, limitandosi a rimestare nel piatto.
“Bones…” piagnucolò.
“Dimmi”
“Perché il signor Spock non ride mai?” chiese cambiando improvvisamente argomento.
McCoy stava per scoppiare a ridere, ma si trattenne.
Cercando di restare serio rispose: “Ride dentro di sé”
“E fuori di sé mai?”
“Non che io sappia, non l’ho mai visto. Ora mangia”
Altri minuti di silenzio.
“Però sorride un po’ alla signorina Uhura quando si fanno le coccole” annunciò Jimmy, mentre prendeva la prima forchettata di verdura.
McCoy alzò la testa dal piatto.
“Fanno le coccole?”
“Sì, quando si danno i bacetti come fanno i fidanzati. Però loro lo fanno solo quando nessuno li vede. O meglio quando credono che nessuno li vede” disse serio il bambino.
“Ah davvero?”
“Sì. Sam dice che se due fidanzati si danno molti bacetti poi, dopo nove mesi, nascono i bambini”
McCoy sorrise di nuovo.
“Beh piccolo, credo che dovresti chiedere a Spock di insegnarti fra le tante cose un po’ di biologia umana” ridacchiò.
“Il signor Spock mi ha informato infatti: quello che dice Sam non è esatto. Mi ha detto come nascono i bambini!!” proclamò Jimmy.
“Non basta farsi le coccole, bisogna fare sesso” continuò sempre serissimo.
McCoy quasi sputò il caffè che stava bevendo.
“Di cosa state parlando?” intervenne Uhura avvicinandosi al tavolo con il suo vassoio in mano.
“Di nulla” rispose subito McCoy.
“Di sesso” lo corresse Jimmy.
Uhura passò in un attimo dallo stupito al furibondo.
”Io non c’entro nulla. Chiedi al tuo ragazzo” si giustificò il medico.
“Signorina Uhura se tu e il signor Spock fate sesso, i vostri bambini avranno le orecchie a punta?”

“Signor Spock perché la signorina Uhura era così arrabbiata quando le ho detto che so come nascono i bambini?” chiese il mattino dopo Jimmy ad un imperturbabile Spock, che gli stava mostrando un vetrino nel microscopio.
“Gli umani credono che i bambini non debbano conoscere, sino a che non raggiungono un limite di età rilevante, il fenomeno della riproduzione nei suoi particolari. La cosa non mi trova d’accordo ovviamente, ma il tenente Uhura, quale garante degli accordi, è stata molto chiara in merito, per cui mi spiace ma non possiamo più trattare l’argomento”
“La signorina Uhura quando si arrabbia è davvero spaventosa” fece Jimmy con sguardo pensoso.
“La tua considerazione mi trova fondamentalmente d’accordo” rispose Spock serio.

“Scott a capitano Spock” gracchiò il comunicatore.
“Mi dica signor Scott” disse Spock dopo averlo attivato.
“Capitano, credo che abbiamo un problema al replicatore di cibo nella sala mensa. Anche se non so proprio…”
“Sto arrivando” rispose il neo capitano.

“Guardi, vede? Solo hamburger e patatine” sbottò Scotty mostrando a Spock come qualsiasi codice immettesse nei replicatori, quello che ne veniva fuori era un piatto di hamburger di vitello con una montagna di patatine.
“Non capisco proprio. Sembra che i codici siano stati tutti sovrascritti. Tutto quello che si riesce ad ottenere è questo.”
Spock stava a guardare con aria scettica.
“A quanto pare c’è qualcuno che ha voluto fare uno scherzo… un burlone, come dite voi umani” scandì.
Tutti i presenti si voltarono a guardare Jimmy, che fingeva indifferenza.
“Cosa c’è?” chiese poi il bambino con aria assolutamente innocente.
“Non ci posso credere, ha solo cinque anni… come cavolo ha fatto?” sbottò Scotty.
“Jimmy non puoi modificare i codici del replicatore solo perché ti piacciono le patatine” lo rimproverò Uhura.
Jimmy gli diede il suo miglior sorriso; anche a quell’età era un’arma formidabile.
“E’ stato facile, ho visto come fanno gli addetti alla cambusa. Ed io volevo solo che il dottor Bones le provasse, dice sempre che ci sono tante altre cose da mangiare. Beh ora non ci sono più…” disse candidamente.
“Per riprogrammare i codici ci vorranno ore” sospirò Scotty.
“Beh… visto che Jimmy ha mostrato tanta abilità sono certo che può contribuire a riprogrammare tutti i codici. Magari sacrificando la sua ora di gioco con il tenente Sulu o quella che di solito dedica ai fumetti” disse calmo Spock guardando fisso il bambino.
“Ma…”
“Niente ma. Marsh!” scandì Uhura
E Jimmy non replicò. Perché la signorina Uhura quando era arrabbiata era davvero, davvero spaventosa.

Le giornate proseguivano tranquille, anche grazie alle missioni cd. “milk run” che venivano assegnate all’Enterprise.
Mentre i giorni passavano inesorabili e Jimmy si trasformava sempre più da bambino silenzioso e timoroso degli inizi a vera e propria peste, l’equipaggio, sempre occupatissimo a stargli dietro, iniziava però a provare anche nostalgia e dolore.
Con ogni probabilità non avrebbero più rivisto il loro capitano adulto e al termine dei sei mesi concessi, era escluso che un bambino potesse restare su di una nave destinata allo spazio profondo, Jimmy l’avrebbe lasciata per sempre.

La tristezza si faceva strada soprattutto nell’animo di McCoy, che spesso si sedeva per ore in silenzio nella cabina del suo migliore amico nella speranza di trovare una qualsiasi traccia del vecchio Jim, del ragazzo con cui aveva trascorso gli anni dell’Accademia, di colui che l’aveva tirato fuori dal baratro dell’alcolismo e della depressione.
Adorava Jimmy, avrebbe dato la vita per lui, ma iniziava a pensare a quel bambino come ad un vero e proprio figlio, non come al suo più caro amico.
E cercava di non pensare a quello che poteva accadere se al termine dei sei mesi, con Jimmy ancora bambino di cinque anni, il piccolo non gli fosse stato affidato.
Il solo pensiero lo faceva stare male e gli faceva venir voglia di attaccarsi alla bottiglia e bere sino a svenire.

“Dottor McCoy” lo salutò Spock entrando in infermeria.
“Capitano” rispose formalmente il medico. I rapporti fra i due erano tranquilli, ma formali.
“Mi chiedevo se oggi Jimmy poteva condividere il pranzo con me al termine delle sue lezioni” chiese il vulcaniano con voce, come al solito, piatta.
“Non hai il turno di lavoro?” chiese scettico McCoy.
“No, oggi ho riservato per me il turno gamma”
McCoy scrutò il vulcaniano. Uhura aveva stabilito rigidamente gli orari e secondo il programma Jimmy avrebbe dovuto pranzare con il medico.
“Ok. Ma dopo lo porti qui. Niente esperimenti al microscopio, niente osservazioni di nebulose. Deve fare il suo pisolino”
“Molto bene” consentì il capitano.

“Cosa stai mangiando?” chiese Jimmy con aria curiosa.
“E’ una zuppa plomeek. E’ fatta con vegetali provenienti da Vulcan, anche se quest’alimento è replicato. Come sai non è più possibile avere vegetali vulcaniani naturali” rispose Spock che sedeva al tavolo con lui, con Uhura seduta di fronte.
Jimmy lo guardò intensamente.
“Ti mancano?” chiese poi all’improvviso.
“Cosa? Devi specificare se vuoi che ti risponda”
“La tua mamma… il tuo pianeta”
Spock rimase come congelato per un attimo.
“Jimmy…” iniziò Uhura percependo il disagio del suo compagno.
“Scusa, non volevo farti stare male. Mi spiace” balbettò subito il bambino.
“Non hai provocato disagio Jimmy. E per rispondere alla tua domanda avverto molto l’assenza di mia madre” rispose alla fine Spock.
“Mi spiace. A me manca molto Sam”
Lo sguardo triste di Jimmy fece stringere il cuore a Uhura.
“Ci sono diverse probabilità che un giorno lo rintracceremo. E tu potrai rivederlo” fece Spock. La voce era piatta, ma Uhura leggeva nello sguardo tristezza.
“Posso provare la tua zuppa?” chiese alla fine Jimmy, cambiando come al solito argomento in un secondo.
“Forse non è il caso. Non è una cosa che di solito piace ai bambini” intervenne Uhura.
“Tenente, se Jimmy mostra curiosità per l’alimento è giusto farlo provare. Così potrà esprimere una sua opinione”
Jimmy sorrise trionfante e prese il suo cucchiaio per provare.
“Non mi piace” concluse dopo aver assaggiato il liquido scuro.
“Sa di caccole” giudicò, provocando una risatina in Uhura.
I tre ripresero a mangiare tranquilli, sino a che Jimmy non lasciò all’improvviso cadere rumorosamente la sua forchetta.
“Jimmy?” chiese Uhura, scrutando il bambino che stava immobile a fissare un punto indefinito sulla parete.
Un singulto violento ruppe il silenzio.
“Jimmy? Che hai?” chiamò di nuovo Uhura sempre più spaventata.
“Non sta respirando!!” fece Spock raggiungendo il bambino.
“Jimmy… calma, va tutto bene cerca di respirare” disse prendendogli il volto fra le mani.
Ma il bambino era sempre più pallido e le labbra stavano diventando blu.
“Nyota, chiama il dottor McCoy. Credo sia una reazione allergica” scandì il vulcaniano.
“Emergenza medica in sala mensa” urlò Uhura nell’interfono.
Spock aveva preso il bambino fra le braccia e cercava di scuoterlo.
“Jimmy abbiamo chiamato il dottor Bones, ma tu devi cercare di respirare. Forza, cerca di prendere un respiro piccolo” lo esortò.
Un rantolo accompagnò lo sforzo del bambino, ma le labbra erano sempre più blu e gli occhi stavano chiudendosi.
“Faccio prima a portarlo io. Dì a McCoy che stiamo arrivando”
Spock non aspettò la risposta di Uhura, precipitandosi nel corridoio con Jimmy, ormai quasi inerte fra le sue braccia.

Maty
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Re: IL DONO

Messaggio da Maty » 16 lug 2016, 19:11

Capitolo 11

“Dammelo” McCoy quasi strappò Jimmy, ormai totalmente incosciente, dalla braccia di Spock.
Il tragitto sino all’infermeria era durato sì e no tre, quattro minuti, ma per Spock la sensazione del tempo si era dilatata, per quanto illogico potesse sembrare.
Un diluvio di emozioni incontrollabili era piombato sul vulcaniano mentre vedeva il bambino fra le sue braccia perdere conoscenza e rantolare dolorosamente. Subito gli erano tornate in mente le immagini del Jim adulto che moriva fra atroci sofferenze nella stanza isolata del nucleo di curvatura, senza che lui potesse neppure toccarlo.
E stavolta era ancora peggio.
La creatura fra le sue braccia era così fragile ed indifesa e la colpa delle sue sofferenze era solo sua.
Avrebbe dovuto usare più cautela, sapeva che Jim era allergico ad una quantità spropositata di cose, avrebbe dovuto proteggere con più attenzione il suo migliore amico.
“Esci” ordinò burbero il medico, mentre poggiava il bambino sul bioletto.
Ma Spock si ritrovò come congelato, impossibilitato anche a muoversi di un millimetro.
“Epinefrina. E accendete il campo di ossigeno” ordinò McCoy professionale, ma con la voce incrinata dall’emozione.
Immediatamente la Chapel gli passò un hypospray, che McCoy iniettò con mano ferma nella giugulare del bambino.
“Dottore, i valori dell’ossigenazione del sangue sono pessimi. E sta andando in tachicardia” lo informò uno degli infermieri.
“Lo vedo da me, maledizione” borbottò McCoy, mentre accarezzava il viso di Jimmy.
“Vuole intubare?” chiese la Chapel.
“No, aspettiamo, diamo il tempo al farmaco di agire. Lo faccio solo se non ho altra scelta”
Il medico neppure si era accorto che Spock era ancora nella stanza.
“Ti ho detto di uscire” gli disse rabbioso.
“Ma…” provò ad obiettare il vulcaniano.
“Fuori!” sbottò McCoy.
A Spock non restò altra scelta che obbedire.


Per quanto illogico fosse, il tempo per Spock aveva rallentato, come se fosse stato catturato in una distorsione temporale.
I minuti sembravano ore, e aveva avuto reazioni quasi emotive con chiunque avesse tentato di avvicinarlo.
Alla fine vide il medico spuntare dalla porta della sala di attesa dove si era rifugiato.
“Sta bene. Tutto bene. Non ho neppure dovuto intubarlo. Domani mattina sarà come nuovo”
Spock sentì la medesima sensazione di sollievo estremo che aveva provato quando Jim si era svegliato dopo la trasfusione con il sangue di Khan.
“Dottore, intendo scusarmi con lei. Ho fallito in un compito di primaria importanza. Sono stato stolto. A questo punto credo davvero che dovrei lasciare a lei la cura esclusiva di Jimmy. Lei è più adatto da ogni punto di vista…”
Spock era un fiume in piena.
“Hai finito di fare la regina del dramma?” lo interruppe il medico.
Spock lo fissò sconcertato.
“Siediti” lo esortò McCoy.
“Quando mia figlia Johanna aveva due anni, sua madre un giorno me la lasciò mentre io stavo facendo delle ricerche nel mio studio. Dormiva tranquilla nel suo passeggino e quindi ad un certo punto mi alzai per andare a farmi un caffè. Ero proprio nella stanza accanto, ci avrò messo sì e no cinque minuti. Ma quando sono tornato ho trovato Johanna quasi incosciente sul pavimento, con il respiro bloccato. Si era svegliata ed aveva iniziato a rovistare sul tavolino medico. Ed aveva ingoiato il tappo di un hypospray. Se fossi arrivato due minuti più tardi…”
Spock era rimasto immobile ad ascoltarlo.
“Sai, per quanto noi genitori ci sforziamo, per quanto possiamo stare attenti e cercare di proteggerli da tutto e da tutti, gli incidenti per i bambini sono quasi inevitabili. E non significa che siamo cattivi genitori. Jim è allergico ad un mucchio di cose, ma neppure io sapevo della zuppa plomeek, probabilmente non l’aveva mai assaggiata prima. E non si può sapere se si è allergici a qualcosa sino a che non ci si viene a contatto”
Spock si rilassò impercettibilmente.
“Insomma, non è colpa tua. Mi costa doverlo ammettere, ma sei bravo con lui”
Il vulcaniano lo guardò con aria stoica.
“Il compito è reso più agevole dalla sua condivisione con lei, dottore. La sua cura nei confronti di Jimmy è esemplare”
“Bah, folletto, sono quasi sei anni che sto dietro a quel ragazzo. Da adulto dà molti più problemi, credimi. Ora sta dormendo, ma se vuoi puoi stare un po’ con lui” sorrise McCoy, indicando la porta dell’infermeria.

Spock si era seduto, immobile e silenzioso.
Un mare di pensieri invadevano la sua mente; aveva tentato la meditazione, ma si sentiva come se tutti gli scudi mentali, quelli che aveva per anni imparato ad erigere intorno alla sua mente per proteggerla dalle emozioni, si fossero sgretolati alla vista del bambino biondo che dormiva sul bioletto.
Incapace di allontanarsi dal letto del piccolo, aveva chiesto la sostituzione per il suo turno e si era dedicato alla lettura dei rapporti sul suo PADD.
McCoy era passato un paio di volte, limitandosi ad un controllo, senza dire nulla, né cercare di allontanarlo.
Il sonno di Jimmy fu tranquillo per un paio d’ore.
Poi lamenti costanti ed una agitazione quasi frenetica iniziarono ad attirare la preoccupazione di Spock.
“No… lasciami stare non mi picchiare, non ho fatto nulla!” balbettò il piccolo, agitandosi sotto la coperta
Stava avendo chiaramente un incubo.
“No Frank ti prego… non lo faccio più giuro… non lo faccio più” continuò il bambino, sempre più sudato ed agitato.
“Non volevo… ti prego, la maestra ci ha dato un compito e non ho potuto ancora pulire casa… lo faccio ora… no no no” ora il bambino singhiozzava.
Spock era bloccato dalla preoccupazione.
“Jimmy… svegliati… svegliati è solo un incubo” provò toccandolo leggermente.
Il semplice tocco fu sufficiente a far destare il bambino con un urlo soffocato.
Occhi azzurri terrorizzati e pieni di lacrime lo guardarono sgomenti, mentre il corpo si raggomitolava contro la testata.
“Era solo un sogno… non ti preoccupare. Niente qui ti farà del male…”
Il bambino piangeva disperato senza rispondere.
“Chiamo il dottor McCoy” fece Spock quasi terrorizzato.
“No, non mi lasciare!”
In un attimo Spock si ritrovò con il bambino disperato avvinghiato come una scimmietta.


I vulcaniani sono telepati al tatto. Per questo chiunque aveva a che fare con loro imparava ben presto a non toccarli senza il loro permesso.
Anche Uhura aveva imparato che, prima di abbracciarlo o baciarlo, doveva sempre far capire a Spock che stava per farlo.
Ogni vulcaniano imparava comunque, sin dalla prima infanzia, a dominare le proprie emozioni ed erigere scudi per non essere influenzati da quelle delle specie con cui venivano a contatto.
Ma l’ondata di emozioni che si abbatté su Spock appena Jimmy lo abbracciò e si avvinghiò a lui fu come uno tsunami.
Paura, incredulità e soprattutto solitudine, un senso di solitudine immensa ed ingiusta per un piccolo di cinque anni.
E terrore.
In un attimo i ricordi di Jimmy piombarono su Spock: Frank che gli urlava contro, che gli lanciava addosso bottiglie di birra, che lo derideva. E poi gli schiaffi, i pugni, la caduta per le scale dopo essere stato spinto.
Spock, ansimando, si fece forza e cercò di ricostruire gli scudi mentali per non essere totalmente sopraffatto.
“Calma Jimmy, calma. Frank non c’è qui. Non lo vedrai mai più. Non ti farà mai più male. Io non permetterò che ti faccia del male mai più”
Ripeté le stesse parole più e più volte, come un mantra, carezzando il bambino sulla schiena, sino a che i singhiozzi del bambino contro la sua spalla si calmarono lentamente.
Piano piano il respiro di Jimmy si regolarizzò, sino a che Spock non lo sentì rilassarsi di nuovo e cadere in un sonno agitato.
Indeciso sul da farsi, si sedette di nuovo, cullando Jimmy fra le braccia, dopo aver preso dal letto la coperta per avvolgerlo.
“Cosa è successo?” chiese con preoccupazione McCoy entrando e guardando la scena.
“Ha avuto un incubo. Uno spaventoso a giudicare dalle reazioni” rispose Spock senza smettere di cullare il bambino.
McCoy sospirò.
“Su Frank?” chiese alla fine.
Spock si limitò ad annuire.
“Dannazione, erano giorni che non li aveva” imprecò il medico, mentre faceva scorrere il tricorder sul bambino.
“Sta bene, sta dormendo. Non voglio dargli un sedativo, quindi cerchiamo di non svegliarlo”
“Dottore, dalle sue parole deduco che Jimmy ha spesso di questi terrori notturni” chiese Spock, parlando a voce bassissima.
“Li aveva anche Jim adulto. Ho condiviso una stanza con lui per tre anni, lo so bene” rispose triste il medico, spegnendo il tricorder.
I due rimasero in silenzio per un po’.
Jimmy si accomodò fra le braccia di Spock, strofinando il viso nell’uniforme, che si macchiò di muco e lacrime.
Ma Spock non ci fece caso; stava ancora cercando di dominare le emozioni trasmesse dal bambino poco prima e di fare i conti con una nuova che si stava impadronendo di lui: la rabbia totalizzante.
“Dottore, questo Frank, dov’è ora?” chiese con un sibilo.
McCoy alzò gli occhi su di lui. Aveva visto quello sguardo in Spock sono quando si era lanciato all’inseguimento di Khan, intenzionato ad ucciderlo nel modo più doloroso possibile.
“E’ in prigione, te l’ho detto” rispose.
“Sì ma dove? E quando uscirà?” chiese ancora Spock con voce gelida.
“Spock, no, lascia stare. Jim non vorrebbe… è acqua passata e Jimmy non lo incrocerà mai più”
“Come si può deliberatamente infliggere tanta sofferenza ad una creatura indifesa?” chiese Spock
“Non lo so, Spock, proprio non lo so”
Ed in quel momento McCoy si augurò che davvero Frank non incrociasse mai la sua strada con Spock, perché era certo che il vulcaniano non avrebbe esitato un attimo ad ucciderlo.

“Sta bene, puoi metterlo giù ora” disse il medico sorridendo.
Era quasi un’ora che Spock cullava il bambino avanti ed indietro.
“Ho calcolato che c’è il 50% delle possibilità che Jimmy si svegli, se lo rimetto a letto” fece Spock.
Il vulcaniano aveva recuperato la sua maschera stoica, ma non si staccava dal piccolo.
“Ok, fingerò di non aver capito che vuoi coccolarlo ancora. Quando sei pronto rimettilo giù” McCoy sorrise di nuovo.
“Anzi, facciamo così. Non deve necessariamente stare in infermeria. Quindi per stanotte potresti portarlo nella tua cabina a dormire. Basta che abbassi un po’ la temperatura per non farlo sudare”
“Mi sembra una soluzione soddisfacente” annuì Spock.
“Bene allora... buonanotte. Io passo domattina. Se ci sono problemi chiama. Ah… gli piace sentir cantare mentre si addormenta”
McCoy baciò sulla fronte Jimmy, che si agitò nelle braccia di Spock senza svegliarsi.
“Buonanotte dottore”
E mentre Spock si avviava nel corridoio, McCoy era certo di sentire una canzone vulcaniana quasi sussurrata, come una ninna nanna.


Beh forse Spock è un po' troppo "emo"... perdonate le piccole licenze da Fanfiction.

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Re: IL DONO

Messaggio da Miles » 16 lug 2016, 21:13

Maty ha scritto:Beh forse Spock è un po' troppo "emo"... perdonate le piccole licenze da Fanfiction.
Mah, direi che è in linea con lo Spock del reboot :wink:
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Re: IL DONO

Messaggio da Maty » 22 lug 2016, 15:58

Capitolo 12

In meno di due giorni l’incidente della zuppa plomeek era dimenticato.
Almeno per Jimmy, perché la vicenda aveva lasciato per Spock e per McCoy strascichi positivi e negativi.
Positivo era il nuovo clima instauratosi fra i due: certo McCoy non aveva perso l’abitudine di stuzzicare e punzecchiare il vulcaniano in ogni occasione possibile, ma i toni erano tornati bonari e quasi affettuosi.
Negativa, soprattutto per il povero Jimmy, era l’iperprotettività che si era impadronita dei due. Il bambino aveva gli occhi del vulcaniano e del medico addosso, qualsiasi cosa facesse e dovunque andasse.
Ogni cosa pericolosa gli era inibita ed ogni momento della sua giornata era strettamente sorvegliato.
Il piccolo, essendo comunque Jim Kirk ed avendo anche perso i timori iniziali, aveva ben presto mostrato veri e propri segni di ribellione all’autorità.
La tempesta era in arrivo e non si fece attendere.

“Dov’è Jimmy?” chiese McCoy con aria accusatoria, entrando in plancia.
“E’ sceso mezz’ora fa da lei in infermeria” lo informò Spock.
“Da me non è mai arrivato” rispose McCoy preoccupato.
“Forse si è fermato da Sulu ad aiutarlo con la serra idroponica” intervenne Uhura.
“No, sono appena salito da lì e non c’era” fece Chekov sbarrando gli occhi.
“Computer, posizione del capitano Kirk” chiese Spock, ben sapendo che i parametri biologici del piccolo Jimmy erano rimasti identici a quelli del capitano.
“Il capitano Kirk è posizionato nei tubi di Jefferies sezione ingegneria ponte 3” rispose la voce metallica.
McCoy sbiancò.
“Non può essere lì” balbettò.

“Keenser dice di averlo visto nella sezione dei tubi sopra il settore 2, ma è non è riuscito a bloccarlo. Il ragazzino è maledettamente veloce” li informò Scotty, entrando trafelato in plancia.
Il piccolo alieno era l’unico che poteva girare velocemente e tranquillamente nelle sezioni trasversali dei tubi che attraversavano qualsiasi parte della nave.
“Maledizione. E’ allergico… chissà che cosa si becca con tutta quella polvere lassù” imprecò McCoy, precipitandosi con Spock nel turboascensore.
“E’ successo qualcosa?” chiese, mentre l’ascensore scendeva verso il reparto ingegneria.
“Ho solo informato Jimmy che non poteva scendere con noi su Gemini. In effetti era contrariato per il divieto” rispose Spock.
L’Enterprise avrebbe fatto, entro un paio di giorni, tappa sul pianeta commerciale per recuperare alcuni vaccini.
“E’ solo un bambino bloccato su di un barattolo di latta da quattro mesi. Avrebbe bisogno di aria fresca” disse McCoy uscendo dal turboascensore.
“Non devo ricordarle che Gemini è un porto franco frequentato non solo dalla popolazione dei pianeti membri della Federazione, ma anche da Klingon e Romulani, tra gli altri. Sino ad ora siamo riusciti a tenere segreta la condizione del capitano Kirk, ma portarlo sul pianeta lo esporrebbe a pericoli non preventivabili”
“Lo so, ma è solo un bambino. Qui non ha nessuno della sua età… vive in un mondo di adulti in uno spazio ristretto…” continuò il medico, camminando nel corridoio.
“Dottore, il capitano Kirk ha moltissimi nemici. E la cosa non è cambiata con la sua regressione. Anzi la sua vulnerabilità al momento è accentuata”
“Ok Spock, ma…” la voce di McCoy era triste.
Ora più che mai si rendeva conto che una nave stellare non era posto dove crescere un bambino, meno che mai Jim Kirk. E che, se la situazione non cambiava, fra poco avrebbero dovuto prendere decisioni dolorose.
“Jimmy coraggio vieni giù” urlò ad alta voce McCoy appena entrato nella sezione ingegneria.
Tutti stavano con lo sguardo in su, mentre nei tubi si sentiva uno scalpiccio veloce.
“James Tiberius Kirk ti ho detto di venire immediatamente giù!” urlò di nuovo McCoy con la sua aria più autoritaria.
“Ho chiuso la sezione, non può uscire dal reparto, ma si muove in fretta” informò Scotty.
“Non farmelo ripetere!” scandì McCoy.
“NO!!” gridò a sua volta una voce infantile sopra le loro teste.
“Sto iniziando davvero a perdere la pazienza”
“Jimmy, la tua permanenza nei tubi di Jefferies è scomoda e pericolosa per la tua salute, e non ti porterà ad ottenere quello che vuoi” chiosò Spock, faccia imperturbabile come al solito.
“Non scendo sino a che non mi promettete di portarmi con voi su Gemini. Voglio uscire dalla nave e vedere altre persone…” disse la voce sopra le loro teste, seguita subito dopo da uno starnuto.
“Coraggio, vai sopra a prenderlo” disse Scotty a Keenser, ma il piccolo alieno lucertola si strinse nelle spalle con aria dispiaciuta.
“Non servi a niente” borbottò l’ingegnere.
“Ti ho già spiegato che scendere su Gemini ti esporrebbe a pericoli” disse Spock a voce alta.
“Non mi importa. Voglio uscire dalla nave!!” urlò Jimmy, con voce leggermente affannata, seguita subito dopo da vari colpi di tosse.
“Maledizione… sta avendo una reazione allergica” sibilò McCoy.
“Jimmy ti fa male la gola?” chiese preoccupato.
“Sì, un po’, ma non scendo” urlò il ragazzino ansimando.
“Maledizione Spock, dobbiamo farlo uscire di lì subito” ora McCoy stava entrando nel panico.
“James la tua ostinazione è completamente illogica” chiosò Spock.
“Non scendo. Lo so che fra un po’ mi riporterete sulla Terra e rimarrò bloccato lì. Voglio vedere altre specie, voglio vedere Gemini!!”
Ora la voce del bambino era quasi un rantolo.
“Se sviene lì dentro…” balbettò McCoy pallidissimo.
“Se assicuriamo la sua incolumità stando con lui senza lasciarlo mai, forse la percentuale di rischio è accettabile” ragionò Spock.
“Posso scendere con voi e tre o quattro dei miei uomini, dovrebbe essere sufficiente” propose Hendorff ‘Cupcake’ che stava assistendo alla scena.
Spock prese la sua decisione dopo aver scambiato uno sguardo di intesa con il medico.
“Va bene, potrai scendere con noi” consentì alla fine.
“Promesso?”
“Ti do la mia assicurazione”
Meno di un minuto dopo un impolverato Jimmy piombò giù dalla scaletta.
McCoy si precipitò con il suo tricorder, pronto all’emergenza.
“Brutto furfante imbroglione” fece furibondo, guardando le scansioni.
“Hai imbrogliato… non stavi male!!” sibilò.
Il bambino gli rivolse lo stesso identico sorriso che Jim Kirk aveva dopo aver manipolato il test della Kobayasci Maru.
“Sì. Ma avete promesso, ricorda” ammise candidamente.
“Tu… tu… non credere di passarla liscia. Anche se scenderai con noi su Gemini sei in punizione” scandì McCoy rosso dalla rabbia.
“Sei di servizio in lavanderia per due settimane. Aiuterai lì per tutto il tempo che avresti dovuto dedicare al gioco. Ci siamo capiti?”
“Sì” fece il bambino senza battere ciglio.
“Niente holovideo per due settimane, anzi tre” continuò il medico.
“Ok” rispose di nuovo Jimmy senza mostrare la minima contrarietà.
“E ora fila nel nostro alloggio a lavarti. E rimani lì senza muoverti sino a cena. Anzi, andrai a letto senza cena” intimò McCoy.
Jimmy si allontanò verso il turboascensore, non senza aver rivolto a Spock e al medico un sorriso luminoso.
“Spock… ci siamo fatti manipolare da un bambino di cinque anni?” chiese il medico.
“Direi proprio di sì, dottore”

Il mercato della capitale di Gemini era affollatissimo e coloratissimo.
Jimmy si guardava intorno con occhi spalancati dalla meraviglia e McCoy sorrise: anche a cinque anni Jim non era diverso da quello che conosceva: curioso, aperto e desideroso di avventura.
“Non ti allontanare, conosci i patti” disse McCoy, mentre lo lasciava con Hendorff ‘Cupcake’ e gli altri membri della squadra di sicurezza per andare a controllare i vaccini con Spock.
“Non lo perdete mai di vista, per chiunque lo chieda lui è il figlio di un membro dell’equipaggio. Capito?” fece poi il medico al capo della sicurezza.
“Non si preoccupi dottore, prima di avvicinarlo dovranno passare sul mio cadavere” grugnì l’uomo mentre con gli altri faceva quadrato attorno al bambino.
Ancora una volta McCoy sorrise: non riusciva a credere al cambiamento di atteggiamento del capo della sicurezza. I suoi rapporti con Jim adulto non erano idilliaci, ma con Jimmy sembrava un fedele cane da guardia, pronto ad attaccare chiunque anche solo respirasse vicino al piccolo.
Il gruppetto riprese a girare fra i vari banchi del mercato.

“Vieni piccolo umano, guarda cosa ho qui per te” disse una vecchia donna mostrando al bambino che passava una piccola palla di pelo.
“Un tribolo… non ne ho mai visto uno dal vivo” fece Jimmy con occhi spalancati.
Mentre si avvicinava Cupcake scattò.
“No Jimmy, non toccarlo, e tu vecchia vai via” fece scortese.
“E’ solo un tribolo, cosa vuoi che gli faccia?” chiese la donna risentita.
“Ti prego Cupcake voglio solo carezzarlo”
A malincuore l’uomo cedette.
Appena sfiorato, il tribolo emise un trillo di gioia.
Jimmy sorrise estasiato.
“Gli stai simpatico. Te lo regalo” disse la donna.
Jimmy quasi urlò di gioia.
“No no, non se ne parla. Queste cose si riproducono alla velocità della luce” scandì Cupcake.
“Ti prego!! Non ho nessuno con cui giocare tranne gli adulti” singhiozzò Jimmy
“Basta non dargli da mangiare, sino a che non trovate qualcuno che lo sterilizzi” fece la donna con aria convincente.
“Beh in effetti il dottore può farlo facilmente. Io ne ho avuto uno sino a qualche mese fa, poi poverino è morto” intervenne Lisa Wells, uno dei membri della squadra di sicurezza.
“Gli animali non sono bene accetti sulle navi” si oppose Cupcake.
“Ti prego… è piccolo, non dà fastidio” singhiozzò di nuovo Jimmy.
“Io ho avuto il permesso dal capitano” intervenne di nuovo Lisa.
Cupcake si trovò sotto il fuoco incrociato.
“Ok, per ora puoi tenerlo. Ma se il capitano Spock dice che deve essere rimandato indietro, lo farai. E non dargli da mangiare sino a che non è sterilizzato, altrimenti ci troviamo invasi dai triboli. Intesi?”
Jimmy annuì entusiasta.
“Grazie” disse all’anziana signora, mentre metteva la piccola palla di pelo nella borsa che portava a tracolla.

Il gruppetto riprese l’esplorazione del mercato, non accorgendosi che diverse paia di occhi scuri stavano osservando le loro mosse.

Di chi sono gli occhi scuri? Se ci sono i triboli...

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Re: IL DONO

Messaggio da Miles » 24 lug 2016, 23:47

Maty ha scritto:Di chi sono gli occhi scuri? Se ci sono i triboli...
Scommetto che inizia con la "K"...

Kazon??? :mrgreen:
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Re: IL DONO

Messaggio da Maty » 30 lug 2016, 9:59

Capitolo 13

Moklor era il comandante della IKS Pagg da quasi cinque anni.
All’età di trentacinque anni era il più giovane comandante della Flotta Klingon.
Avrebbe dovuto essere un guerriero Klingon nel pieno della sua forza, ma guardandosi allo specchio ora vedeva il volto e il corpo di un vecchio di almeno 120 anni.
Era iniziato tutto lentamente: si stancava di più, la vista che si era leggermente offuscata, i capelli che si imbiancavano e cadevano.
I pochi medici che aveva consultato non avevano trovato una ragione del suo malessere sino a che uno di loro, che aveva studiato su Alpha Triaguli con gli umani, non aveva scovato nel suo sangue il virus: era simile alla “progeria” che colpiva gli umani e provocava l’invecchiamento precoce delle cellule, ma, al contrario della malattia umana, non era curabile.
Del resto la società klingon non era propensa alla medicina; il destino di un guerriero era quello di morire con onore, non di malattia.
I sintomi si era moltiplicati e Moklor aveva preso la sua decisione.
Sarebbe rimasto sulla Pagg sino a che le forze fisiche e la volontà lo permettevano: poi avrebbe adempiuto al Hegh'bat e sarebbe morto come si conviene ad un guerriero, sperando di raggiungere lo sto’vo’kor.
I suoi unici crucci erano la sua donna e la sorte del suo casato.
Kalitta, che era anche il primo ufficiale della Pagg, non gli aveva ancora dato figli maschi: alla sua morte la responsabilità del casato sarebbe passata a suo fratello, che si era anche impegnato a prendere in sposa la donna.
Ma ogni volta che ci pensava, Moklor provava rabbia contro il suo stesso sangue.

“Comandante… credo proprio sia lui” disse il suo terzo in comando, entrando sulla plancia.
Due giorni prima erano entrati nell’orbita di Gemini, alla ricerca di un buon accordo commerciale per l’acquisto di armi.
“Un bambino umano di cinque o sei anni? Non essere ridicolo” sbottò in risposta Maklor.
“Invece credo sia lui. Lo chiamano Jimmy, i suoi capelli sono gialli e gli occhi azzurri. Ho anche sentito uno di loro che l’ha chiamato capitano”
“Come può James Kirk essersi trasformato in un bambino di cinque anni, hai perso la ragione?” ringhiò Moklor sempre più irato.
Il suo equipaggio voleva ad ogni costo aiutarlo.
“Dovresti dare ascolto a Karagg. Sai cosa si dice di Kirk” sussurrò sua moglie che gli stava accanto.
“Che è tornato dalla morte? Fandonie, costruite ad arte dai vigliacchi della Federazione”
“Invece dicono che è vero. Con il sangue del superpotenziato è tornato alla vita. Forse è questo quello che lo ha fatto ringiovanire” intervenne Karagg.
“E se così è il sangue di Kirk può aiutare te, marito mio”
Moklor rimase in silenzio ragionando.
Certo le speranze che davvero quel bambino umano fosse Kirk e che davvero il suo sangue potesse salvarlo dalla morte erano minime.
Ma se davvero era Jim Kirk, la sua cattura sarebbe stata comunque una grande vittoria e sicuramente avrebbe raggiunto lo sto’ko’vor dopo la morte.
“Va bene. Prendetelo” ordinò.

“No no, non se ne parla neppure. Non possiamo tenere un tribolo sull’Enterprise” sbottò McCoy alla vista della palla di pelo che Jimmy gli mostrava entusiasta.
“E’ piccolo. E poi lo puoi sterilizzare come quello del tenente Wells. Ti prego…”
“Gli animali sulle navi non sono bene accetti. Anche se il codice di comportamento non li vieta espressamente, la loro permanenza può creare problemi” aggiunse Spock
“Tanto non resterò a lungo sull’Enterprise” fece Jimmy con gli occhi tristi.
I due ufficiali rimasero in silenzio.
“Dottore, in fondo l’animale è piccolo. E lei può provvedere alla sua sterilizzazione appena tornati a bordo. Sono certo che Jimmy saprà accudirlo in modo che non crei problemi”
Il piccolo annuì entusiasta.
“E va bene…” consentì McCoy.
Jimmy saltò dalla gioia, prima di rimettere l’animaletto nella sua borsa e tornare verso Cupcake.
“Spock, lo sai, vero, che ci tiene in pugno?”
“Dottore, non credo che nella sua condizione attuale Jimmy sia in grado di tenere nella propria mano qualcun altro” chiosò Spock.
“Smettila Spock, hai capito benissimo quello che volevo dire”
“Dottore, se intende dire che Jimmy presenta una notevole capacità persuasiva, posso farle osservare che tale dote era precipua del capitano, anche prima della sua regressione, e che lei per primo è influenzato da questa sua caratteristica”
“Certo Spock, certo” ridacchiò il medico.

“Siamo pronti a risalire a bordo, signor Scott” comunicò Spock mentre tutti si mettevano in posizione.
Proprio in quel momento si levarono dalla folla nel mercato grida di spavento.
“Qualcuno mi aiuti, mia moglie… l’hanno accoltellata!” urlò una voce maschile, mentre tutti scappavano in ogni direzione.
“Stand by, signor Scott” ordinò Spock.
McCoy si era già precipitato verso l’uomo, che stava inginocchiato accanto ad una donna in evidente stato di gravidanza.
“Signor Hendorff, lei ed il tenente Wells restate con il bambino. Gli altri con me”
“Maledizione, il colpo le ha perforato il fegato” sbottò McCoy mentre la scansionava con il suo tricorder.
“Ha visto chi è stato?” chiese Spock al marito, che tremava come una foglia, guardandosi le mani insanguinate.
“E’ stata una donna klingon. Era vicino mia moglie e all’improvviso senza nessuna ragione…” balbettò.
“Klingon?” riuscì a chiedere McCoy subito prima che si scatenasse l’inferno.

Tutto fu molto veloce.
McCoy fece appena in tempo ad udire l’urlo terrorizzato di Lisa Wells, prima che cadesse a terra per un colpo del phaser impugnato da una donna klingon.
Subito dopo, nella confusione generale, vide Hendorff che tentava di fare scudo con il proprio corpo a Jimmy, ma un secondo dopo anche lui era a terra esamine.
“BONES” urlò Jimmy guardandolo terrorizzato, mentre un Klingon lo sollevava come un fuscello.
“NO!!!” gridò il medico con tutte le sue forze, tentando di raggiungerlo.
Spock impugnava il phaser, come gli altri; ma erano bloccati, non potendo sparare senza rischiare di colpire il bambino.
“Spock fai qualcosa!!” urlò McCoy, ma il vortice del teletrasporto fece sparire i tre Klingon e Jimmy in pochi secondi.

Leonard McCoy si guardò allo specchio.
Sentiva che le sue difese erano sul punto di cedere da un momento all’altro.
Solo la sua forza di volontà e la sua coscienza di medico l’avevano indotto a restare lucido, ad operare e salvare la donna incinta accoltellata, e a curare Hendorff.
E solo la costituzione fisica eccezionale del capo della sicurezza l’aveva salvato dalle conseguenze mortali del colpo sparato a così breve distanza, anche se la ripresa sarebbe stata lunga.
Lisa Wells invece era morta pochi minuti dopo il trasporto sull’Enterprise.
McCoy si passò una mano nei capelli disordinati e si buttò un po’ d’acqua gelata sul viso.
Erano passate cinque ore ormai.
Cinque ore da quando i klingon della Pagg avevano rapito il suo migliore amico e fatto perdere rapidamente le loro tracce.
Cinque ore in mano alla razza più feroce conosciuta nell’universo.
Un bambino di cinque anni, quanto tempo poteva resistere? Forse era già morto.
E cosa potevano volere da lui?
Se i klingon avevano saputo che quel piccolo era il loro più acerrimo nemico, James Tiberius Kirk, allora Jimmy era morto pochi minuti dopo essere stato trasportato sulla nave.
Scacciando il pensiero orribile dalla mente si preparò all’azione.
Non poteva lasciare che quei bastardi uccidessero il suo migliore amico, proprio ora, nel momento della sua maggiore vulnerabilità.

“Sarà mia cura informarla appena ho notizie, ammiraglio”
McCoy entrò sulla plancia subito prima che la comunicazione con Archer si concludesse.
Fece appena a tempo a vedere sul grande schermo la faccia preoccupata dell’uomo.
“Spero che la Flotta non ci metta i bastoni fra le ruote” ringhiò il medico mentre si avvicinava a Spock, seduto sulla poltrona di comando.
“La cosa sarebbe comunque irrilevante” fu la risposta atona, anche se tutto in Spock lasciava trasparire rabbia.
Il volto era immobile, ma gli occhi erano colmi di emozioni a stento controllate.
“Signor Chekov, novità sulle tracce del dispositivo di occultamento dello sparviero klingon?”
“No signore, ma ci sto lavorando” fu la risposta dura del giovane guardiamarina, mentre le sue mani volavano sulla consolle.
Sulla plancia aleggiava un silenzio irreale, tutti apparivano concentrati sul proprio lavoro.
“Signor Sulu, faccia preparare la navetta romulana sequestrata che abbiamo in deposito” ordinò il vulcaniano.
“Sì signore”
“Vuoi avvicinarti con quella?” chiese McCoy.
“Se vedono l’Enterprise avvicinarsi ci attaccheranno. E la sicurezza di Jimmy sarebbe in pericolo”
“Se non è già morto” sussurrò McCoy con voce quasi rotta dal pianto.
“Dottore, se avessero solo voluto ucciderlo l’avrebbero fatto su Gemini. Le probabilità sono a favore della tesi che serve loro vivo” rispose il vulcaniano.
“Sì ma per cosa? E se sanno che lui è James Kirk…” balbettò McCoy.
“Dottore, l’emotività non aiuta. Dobbiamo recuperare il capitano… Jimmy, e le assicuro che non c’è posto in questo universo dove non li inseguiremo. Non ci fermeremo sino a che non avremo ottenuto il nostro scopo”
Tutto l’equipaggio sul ponte di comando annuì silenzioso prima di riprendere il lavoro.

“Mangia!” ordinò il klingon, mentre poggiava il vassoio sul tavolo di fronte al bambino.
La cella era davvero piccolissima, ma nonostante ciò Jimmy sembrava minuscolo e sperso nella stanza.
Sembrava, perché quello che i Klingon non sapevano è che Jimmy Kirk si nasce, non si diventa.
E Jimmy Kirk aveva imparato ben presto, fronteggiando il patrigno violento, che se qualcuno ti vuol fare del male è peggio mostrare paura. Devi cercare di essere coraggioso e affrontare il pericolo.

“Mangia” ordinò di nuovo il klingon.
“Questa roba puzza. In realtà anche tu puzzi, dovresti farti una doccia” proclamò il bambino arricciando il naso.
“Piccolo umano insolente, ora ti faccio vedere io!” fece il klingon avvicinandosi minaccioso.
“Karagg, lascia stare, deve arrivare integro su Kronos se vogliamo ottenere il nostro scopo” intervenne la donna che stava aspettando al di fuori della cella.
L’uomo uscì dalla cella dopo aver rivolto a Jimmy uno sguardo disgustato.
Dopo di che i due attivarono il campo di forza e si allontanarono nel corridoio, borbottando fra loro.
Jimmy ridacchiò fra sé e sé.
Nonostante tutto i Klingon erano dei dilettanti.
Non lo avevano neppure perquisito quando lo avevano gettato in cella.
E nella sua borsa c’era un tribolo.
I triboli odiano i klingon.
E i klingon hanno disgusto dei triboli.
Quello scemo gli aveva appena portato del cibo.
Dilettanti.

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Re: IL DONO

Messaggio da Maty » 30 lug 2016, 10:00

PS lo so che i klingon non sono scemi... ma questi un po' sì

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Re: IL DONO

Messaggio da Miles » 2 ago 2016, 9:26

Mi piace come si sta sviluppando la storia: il klingon malato di invecchiamento precoce è geniale, vista la situazione :)

Maty ha scritto:PS lo so che i klingon non sono scemi... ma questi un po' sì

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Re: IL DONO

Messaggio da Maty » 20 ago 2016, 19:19

Capitolo 14

“Ho una traccia capitano” annunciò Chekov.
Spock studiò immediatamente i dati che il giovane russo gli aveva inviato sul PADD.
“Sono diretti su Kronos” disse serio.
Sulla plancia calò il gelo.
L’Enterprise non poteva entrare nello spazio klingon: avrebbe causato di certo una guerra fra le due potenze.
“Signor Chekov, imposti la rotta per Kronos. Ci fermeremo prima della frontiera con lo spazio klingon. Da lì proseguirò con la navetta”
“Sì signore”
“Io vengo con te” disse con aria sicura McCoy.
“Dottore, è estremamente pericoloso. Dovremo avvicinarci alla Pagg con una navetta priva di reali difese e sperare che ci facciano salire a bordo. Non sappiamo cosa può accadere…”
“Non mi importa. Io vengo con te” replicò il medico.
“Dottore, posso parlarle un attimo in privato?” chiese Spock serio.

I due si rinchiusero in sala tattica.
“Non cercare di dissuadermi, Spock: anche se me lo ordini, io non resto qui. Vengo con te!” quasi urlò McCoy.
“Dottore, la invito a considerare in modo logico le circostanze. Noi due siamo gli unici 'parenti' di Jimmy. Se ad entrambi succede qualcosa…”
McCoy si bloccò… non aveva per nulla pensato a questo.
“Sì, ma io non resto qui ad aspettare buono buono che me lo riporti. E certo non tornerà senza di te…”
“La missione è pericolosa. Preferirei sapere che, se mi dovesse succedere qualcosa, lei continuerà a cercare Jimmy”
“Se 'ci' dovesse succedere qualcosa, questo equipaggio non smetterà mai di cercare il suo capitano. E sono sicuro che non lo lasceranno mai solo”
“Dottore, la logica impone…”
“Basta Spock. Nulla in questa situazione è logico. Andremo insieme” lo interruppe McCoy con tono deciso.
A Spock non restò che annuire.


Una settimana dopo nell’hangar navette dell’Enterprise tutto era pronto.
Uhura si avvicinò a Spock e lo tirò in disparte.
“Promettimi che starai attento” gli disse, abbracciandolo lontano da occhi indiscreti.
“Nyota, dubito che una promessa possa acuire i miei sensi e farmi stare più attento” rispose il vulcaniano.
“Spock… sai cosa voglio dire…”
Il vulcaniano la guardò negli occhi per alcuni secondi.
“Nyota… mi trovo costretto a chiedere quello che voi umani chiamate un favore. Se dovesse succederci qualcosa, se il dottor McCoy ed io non dovessimo tornare…”
“Non accadrà” lo interruppe la donna.
“Le probabilità di successo di questa missione non sono alte”
“Non accadrà. Tornerete con Jimmy”
“Sì ma se dovesse succedere…”
“Credevo che i vulcaniani trovassero illogico ipotizzare scenari non ancora verificatisi”
“Nyota…”
“Sì lo so Spock. Non succederà, ma se dovesse… troveremo Jimmy a qualsiasi costo e ci prenderemo cura di lui” lo anticipò la giovane.
Spock pensò ancora una volta alle grandi doti empatiche della sua donna.
“Tornerò, ashayam, te lo prometto.” disse, del tutto illogicamente, mentre l’abbracciava.


“Siamo appena entrati nello spazio klingon, comandante” annunciò Karagg.
Moklor si agitò sulla sedia.
Stavano per arrivare su Kronos con un bambino che si supponeva fosse il mitico James Tiberius Kirk, regredito all’età infantile, nell’assurda e lontana speranza che il suo sangue potesse guarirlo dalla malattia.
Per tutti quei giorni Moklor aveva pensato che la situazione era ben poco onorevole per un guerriero klingon, ma ormai riusciva a negare ben poche cose alla sua compagna e, soprattutto, il pensiero che le sorti del suo casato e di sua moglie finissero nella mani incapaci del fratello lo faceva impazzire.
“Porta qui il bambino” ordinò.
“Moklor, non è saggio. Sai bene che il giovane umano non avrà vita lunga su Kronos e non vedo ragione nel conoscerlo…” intervenne sottovoce Kalitta al suo fianco.
“Taci donna. Se ho il coraggio di servirmi del bambino umano per salvarmi la vita, devo anche avere il coraggio di guardarlo negli occhi”



Jimmy era davvero annoiato.
Da una settimana non aveva avuto altro da fare se non dare da mangiare ai triboli da lui nascosti nelle condutture sopra la cella.
La maggior parte era nel condotto sopra di lui, ma ne aveva anche conservato alcuni nella sua borsa, sempre aspettando l’occasione giusta per posizionarli, con il cibo, in qualche altro condotto della nave… e poi farli uscire al momento giusto, ovvero quando il signor Spock e Bones fossero arrivati.
Perché Jimmy non sapeva bene spiegarsene la ragione, ma era certo che sarebbero venuti a prenderlo. Assolutamente certo.
Si vergognava in po’, ma ora non pensava sempre a Sam come nei mesi passati.
Certo, gli mancava, e gli mancava nonna Rose, ma con Bones, il signor Spock e tutti gli altri si sentiva al sicuro: era come avere una grande famiglia, una famiglia molto grande e molto strana.
“Alzati. Il comandante vuole vederti” urlò il klingon che Jimmy aveva individuato come Karagg, posizionandosi all’ingresso della cella.
In meno di una settimana Jimmy aveva identificato quasi tutto l’equipaggio della nave klingon e aveva concluso che Karagg, nonostante il suo aspetto ed il fatto che volesse sembrare feroce, era in realtà abbastanza stupido.
In primo luogo, non lo aveva perquisito quando lo aveva buttato in cella.
Quando giocavano a poliziotto e ladro, Sam il poliziotto perquisiva sempre Jimmy il ladro prima di sbatterlo in cella.
In secondo luogo tutti i klingon dovevano essere anche un po’ sordi, perché in tutti quei giorni Karagg non si era neppure accorto, quando gli portava da mangiare, dello scalpiccio sopra le loro teste.
Jimmy aveva piazzato il primo tribolo nel condotto di areazione: era bastato un boccone di cibo ed il tribolo si era sdoppiato. Poi da due erano diventati quattro, otto, sedici e così via, quasi come la sequenza di Fibonacci che gli aveva insegnato il signor Spock.
Ora erano tantissimi e si stavano espandendo, tramite i tubi, per tutta la nave. E nessuno se n’era ancora accorto.
Uscendo obbediente dalla cella Jimmy pensò che i klingon in fondo erano tutti un po’ tonti.

Jimmy cercò di non abbassare lo sguardo e di non mostrare il tremore che aveva alle mani, quando lo portarono quasi di peso su quello che doveva essere il ponte di comando della nave.
Era molto più scuro di quello dell’Enterprise e vi regnava un silenzio quasi assoluto, rotto solo dai ‘bip’ degli strumenti di rilevazione.
Karagg scaricò Jimmy ai piedi della poltrona di comando, dove Moklor sedeva.
Il comandante scrutò per lunghi attimi il bambino senza dire nulla.
“E questo topo minuscolo sarebbe il grande Jim Kirk?”
Jimmy rimase per un attimo congelato.
Il klingon era davvero gigantesco e per niente profumato.
Ma Sam gli aveva insegnato a non mostrarsi debole, altrimenti il nemico ti schiaccia.
“Il mio equipaggio vi troverà e vi farà a pezzettini” scandì il bambino alzandosi in piedi.
Tutti i klingon presenti sul ponte scoppiarono in risate fragorose.
“Davvero?? Il ‘tuo’ equipaggio si precipiterà a salvare un piccolo roditore come te?” ridacchiò Moklor, con sguardo divertito.
“Il MIO equipaggio è fedele al suo capitano. Non come il tuo” rispose ironico Jimmy, guardando con aria di sfida Karagg e Kalitta che gli era a fianco.
La risata morì sulle labbra di Moklor, che istintivamente guardò i due alle sue spalle.
Ora… Jimmy non era sicurissimo di quello che aveva appena insinuato, ma nel corso di quella settimana aveva osservato Karagg e Kalitta, la donna klingon. Aveva sempre avuto spirito di osservazione ed era quasi certo che quei due avessero la stessa aria del signor Spock e della signorina Uhura dopo che si erano scambiati un po’ di coccole, lontano dagli sguardi degli altri.
E se Kalitta era la moglie di Moklor, questa non era una cosa bella.
“Che vuoi dire piccolo mostriciattolo?” chiese rabbioso Moklor.
“Chiedilo a loro due” fece Jimmy con un leggero sorriso.
Moklor si girò di nuovo verso la moglie.
“Non vorrai credere a questo lurido piccolo glob?” sbottò inviperita Kalitta.
“Ora ti faccio vedere io” urlò minaccioso Karagg, avvicinandosi con il pugno alzato, pronto a colpire.
Jimmy cercò di non indietreggiare, anche se stava per farsela nei pantaloni.
“Fermo!! Tu riporta questo piccolo mostriciattolo in cella” comandò Moklor ad una delle guardie.
Il klingon prese di peso Jimmy e lo trascinò nel corridoio.

Era già notte fonda quando Jimmy udì dei passi nel corridoio che portava alla sua cella.
Intontito dal sonno, si alzò dalla brandina per vedere cosa succedeva, per ritrovarsi con sorpresa Moklor davanti al campo di forza.
Era davvero gigantesco visto in piedi, ma emanava anche dignità. E sembrava molto vecchio all’apparenza, anche se gli occhi era quelli di un giovane.
“Cosa volevi dire prima?” chiese senza preamboli.
Jimmy sentiva il cuore battergli a mille, ma doveva approfittare dell’occasione.
Aveva imparato da Sam.
“Quando sei in trappola, prova a distrarre il nemico” li aveva detto, con il naso sanguinante, quella volta che Frank l’aveva scoperto a rubare dalla credenza un paio di biscotti per Jimmy.
Sam era stato bravissimo a dirottare l’attenzione del patrigno sul suo amico John che gli rubava sempre la birra dal frigo.
L’uomo aveva mollato Sam a terra, dopo il primo pugno, e si era precipitato dall’amico.
“Chiedi a loro” disse Jimmy cercando di sembrare forte e sicuro di sé, anche se non sapeva neppure bene cosa Moklor dovesse chiedere alla moglie e a Karagg.
Moklor divenne quasi violaceo.
“Maledetto cucciolo umano, menti come tutta la tua razza”
“Se sei così sicuro perché sei venuto qui?” chiese Jimmy con aria innocente.
Aveva letto da qualche parte del senso dell’onore dei klingon.
Se possibile il colorito di Moklor divenne ancor più viola scuro.
“Maledetto, ora ripeterai le tue accuse davanti a loro” urlò il klingon avvicinandosi alla tastiera, posta di lato, per disattivare il campo di forza della cella.
La barriera azzurrina davanti alla porta si dissolse e Moklor entrò nella cella, sollevando Jimmy di peso, come se fosse niente più di un pupazzo.
Mentre veniva portato via di peso Jimmy ridacchiò fra sé e sé.
Moklor non aveva riattivato il campo di forza davanti alla cella.
E lui sapeva bene che quella poteva essere l’unica occasione per approfittare della distrazione del klingon. Così aveva aperto un piccolo varco nella botola sul soffitto, lasciando in bella mostra gli avanzi della sua cena.
Ora doveva solo aspettare che i triboli facessero il loro lavoro.
Ne era sempre più convinto: i klingon erano decisamente stupidi.

“Trenta minuti all’obiettivo” annunciò Spock, al comando della piccola navicella romulana.
McCoy si agitò a disagio sulla sedia.
Con loro c’erano solo sei membri della squadra di sicurezza, fra cui il gigantesco Hendorff: non aveva voluto sentir ragioni sul fatto di non poter partecipare alla missione, nonostante le sue precarie condizioni fisiche e la sua posizione di capo reparto.
“Non mi importa capitano Spock, dopo se vuole può anche deferirmi alla corte marziale, ma io vengo con voi” aveva scandito e senza attendere altro era salito sulla navicella.

“Come intendi procedere?” chiese il medico all’imperturbabile vulcaniano.
“Il mio romulano è ancora buono ed il mio aspetto aiuta nell’inganno. Contatterò la Pagg fingendo un'avaria e chiederò assistenza” rispose calmo.
“E credi che i klingon siano disposti a farci attraccare alla loro nave?”
“Dottore, i klingon non sono immuni all'avidità. Per questo ho preso a bordo uno dei cristalli di dilitio che abbiamo di riserva. Se capiscono che abbiamo del dilitio ci consentiranno di attraccare per sottrarcelo”
“Vuoi mentire? I Vulcaniani non mentono”
“Infatti… ometterò solo dei particolari” chiosò il vulcaniano.
Tutti rimasero in silenzio per un po’, sino a che la Pagg non fu in vista.
“Nave IKS Pagg, qui la navetta commerciale Dedirex. Chiediamo assistenza” scandì Spock in perfetto romulano.
Ultima modifica di TheGib il 20 ago 2016, 20:43, modificato 1 volta in totale.

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Re: IL DONO

Messaggio da Maty » 27 ago 2016, 20:25

Capitolo 15

Kalitta si guardò allo specchio della piccola cabina.
Era ancora una donna klingon giovane e attraente, i suoi fianchi erano larghi e il suo corpo adatto alle gravidanze.
Era una guerriera coraggiosa ed esperta.
Ma la sua unione con Moklor era stata infertile, e poi da un momento all’altro si era ritrovata inspiegabilmente sposata ad un vecchio.
La vita stava lasciando il suo sposo poco a poco, privandola così anche della possibilità di una discendenza.
E lei ben presto, se non poneva rimedio alla situazione, si sarebbe ritrovata nella migliore delle ipotesi sposata al fratello di Moklor, un essere disgustoso e privo di onore. Nella peggiore da sola, senza casato né discendenza.
Anche se la sua unione con Moklor era stata combinata dalle famiglie, sino ad un certo punto aveva amato e rispettato suo marito, ma ora doveva proteggersi e pensare al suo futuro.
Per questo aveva accettato il corteggiamento di Karagg.
Il terzo in comando sulla Pagg apparteneva ad un importante casato e non aveva mai preso moglie: alla morte di Moklor avrebbe rivendicato Kalitta come sua sposa e con lei anche il casato che le apparteneva in eredità. Quell’inetto del fratello di Moklor non sarebbe stato in grado di opporsi ad un vero guerriero come Karagg.
Kalitta già si vedeva primo ufficiale accanto a Karagg, sulla Pagg o magari su una nave più grande. E nel suo ventre Karagg di certo avrebbe piantato il seme di un figlio maschio.

“Quel piccolo glob umano mi innervosisce” fece Karagg alzandosi dal letto ed avvicinandosi a Kalitta per baciarla sul collo.
“Smettila Karagg, è solo un cucciolo umano che morirà dissanguato subito dopo che avremo raggiunto Kronos” rispose la donna mentre curvava la schiena al tocco di Karagg.
“Ha occhi demoniaci… non mi fido… come faceva a sapere di noi?” chiese lui con voce tesa.
“Non sa nulla di noi; gli umani sono bravissimi ad ingannare e mentire” rispose la donna.
“Ma ha insinuato il dubbio in Moklor”
“Moklor non sa nulla e si fida di me. Dopo tutto sono io quella che ha suggerito di prendere il bambino umano per salvargli la vita. Sono una moglie devota che farebbe di tutto per lui” fece ironica la donna.
“Anche se non servirà a nulla…” ridacchiò Karagg.
“Anche se non servirà a nulla… i medici sono stati chiari. Nulla può salvare la vita di Moklor. E avere catturato ed ucciso un cucciolo umano solo per non affrontare la morte, non è azione degna di un guerriero klingon. E di certo nessuno gli crederà quando dirà che è James Kirk. Lo prenderanno per pazzo” scandì Kalitta mentre prendeva la spazzola e iniziava a lisciare i capelli scuri.
“Credi davvero che il Consiglio mi permetterà di rivendicare il casato di Moklor?”
“Certo. Io sono sua moglie e le sue azioni deplorevoli si ripercuoteranno anche sul fratello; non che mi preoccupi di quel misero insetto che fa il commerciante, ma stai sicuro che fra un vero guerriero, come te, e lui il Consiglio sceglierà te. Vedrai, darà senza problemi il consenso alla nostra unione”
“Avremo un grande futuro insieme, Kalitta” disse Karagg mentre riprendeva a baciarla sul collo, ma la donna lo fermò con un gesto brusco.
“Shhh. Hai sentito nulla?” chiese guardando in alto.
“No. Cosa c’è?”
“Dei rumori… come dei passi sopra le nostre teste…”
“Non ho sentito nulla. Domani farò controllare i tubi per vedere se ci sono di nuovo quei piccoli roditori infestanti che abbiamo beccato su Alpha Taurus”
“Ora devo tornare da Moklor” annunciò Kalitta alzandosi.
“Anche io devo andare, inizia il mio turno” rispose Karagg.
Aperta la porta della cabina i due rimasero come congelati.

Davanti a loro c’era Moklor: teneva per un braccio il bambino umano che scalciava selvaggiamente.

“Moklor…” balbettò Kalitta cercando di non lasciar trasparire la sorpresa.
“Moglie cara, sai spiegarmi cosa ci fai nell’alloggio del terzo in comando?” chiese il comandante con voce calma.
Jimmy aveva smesso di agitarsi e stava ad assistere alla scena senza fiatare, anche se avrebbe voluto suggerire a Moklor che era più che evidente che quei due si erano fatti le coccole sino a poco prima.
“Stavamo rivedendo i turni di servizio…” rispose la donna con voce incrinata.
“Li ho già rivisti io stamattina, e tu stessa mi hai chiesto di farlo” rispose Moklor con sguardo duro.
“Comandante, questo piccolo topo ti sta fuorviando la mente…” intervenne Karagg.
“E pensi che io sia così stupido da farmi fuorviare da un cucciolo umano? O forse c’è qualcosa di più?”
“No, ma sei malato e…” provò a giustificarsi Karagg.
“E cosa, Karagg? Non sono ancora diventato cieco!”
L’accesa conversazione fu interrotta dal trillo del comunicatore di Moklor.
“Comandante, abbiamo una richiesta di aiuto da parte di una navetta commerciale romulana. Dicono di aver bisogno di assistenza” scandì la voce metallica.
“Arrivo subito” rispose Moklor.
“Riprenderemo questa conversazione più tardi. Tu, Karagg, riporta il bambino in cella” ordinò severo.
“Ah… e se succede qualcosa al cucciolo umano, ti riterrò responsabile personalmente” continuò mentre Karagg trascinava Jimmy per il braccio nei corridoi.

“Lurido schifoso glob… è stato un errore portarti qui… ma presto farai la fine che meriti…”
Imprecando platealmente Karagg trascinò Jimmy prima nel turboascensore e poi nel corridoio che dava alle celle.
Troppo furibondo per accorgersi di quello che stava succedendo attorno a lui, scorse solo all’ultimo la vera e propria valanga pelosa che avanzava nel corridoio.

“Comandante, dicono di essere in avaria con il motore. E che possono ricompensarci se permettiamo loro di attraccare e ripararlo” informò l’addetto alle comunicazioni, appena Moklor mise piede sul ponte di comando, seguito da Kalitta che teneva gli occhi bassi.
“Hanno armi su quella navetta?” chiese Moklor sedendosi sulla poltrona di comando.
“Negativo signore. Gli scanner rilevano che hanno il motore ad impulso a potenza di un quarto” rispose Kalitta, che nel frattempo aveva preso posto alla postazione scientifica.
“Quanti a bordo?”
“Otto signore, ma non riesco a rilevarne la biologia”
“Sullo schermo” ordinò Moklor.
Pochi secondi dopo apparve l’immagine di un uomo dalle orecchie a punta.
“Chiediamo assistenza, IKS Pagg. Fra poche ore, senza l’energia dei motori ad impulso, i sistemi primari della navetta falliranno” scandì l’uomo, guardando verso Moklor.
“Non siamo una nave soccorso… cosa vi fa pensare che io perda il mio tempo a recuperarvi e poi spenda le mie risorse tecniche per permettervi di riparare il motore?”
L’uomo sullo schermo rimase per un attimo in silenzio.
“Abbiamo un cristallo di dilitio a bordo, possiamo ripagarvi con quello”
Moklor rimase un attimo in silenzio.
I cristalli di dilitio, indispensabili per i motori a curvatura, erano rari e costosi.
“Va bene. Permesso di attraccare all’hangar navette. Resterete a bordo sino a che i miei uomini non vi diranno di scendere e poi stabiliremo il da farsi” ordinò Moklor.
“Manda una squadra di sicurezza all’hangar navette e fai circondare il veicolo romulano appena attracca” ordinò Moklor a Kalitta.
Dopo qualche minuto però la donna klingon iniziò ad agitarsi.
“Signore… c’è qualcosa che non va nei ponti inferiori. Nessuno risponde alle mie comunicazioni”

“Come intende procedere, capitano?” chiese Hendorff, accuratamente nascosto dietro una paratia come gli altri, per non farsi inquadrare durante le comunicazioni con la Pagg.
“Aspetteremo di essere entrati nell’hangar navette e poi usciremo sparando. Regolate i vostri phaser su stordimento”
“E poi?” chiese preoccupato McCoy.
“E poi cercheremo Jimmy, sperando che lo tengano ai ponti inferiori nelle celle di sicurezza”
“Beh… non mi sembra un piano molto accurato” chiosò McCoy, sempre più accigliato.
“Infatti ho calcolato che ci sono circa il 10,5% di possibilità di successo”
“Magnifico” commentò sarcastico il medico.
“E’ una percentuale molto più alta di altre missioni che abbiamo affrontato con successo. E, come direbbe Jim Kirk, dottore, siamo costretti a navigare a vista” rispose, senza la minima emozione, il vulcaniano mentre con sicurezza dirigeva la navetta verso la porta dell’hangar.

Appena spenti i motori, Spock si alzò dal posto di guida e impugnò il phaser.
“Stia dietro di noi, dottor McCoy” ordinò, mentre gli altri della squadra lo imitavano.
Le porte della navetta si aprirono lentamente e tutti si prepararono all’azione.
Ma quello che trovarono nell’hangar della Pagg li lasciò assolutamente senza parole.

Maty
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Re: IL DONO

Messaggio da Maty » 5 set 2016, 17:11

Capitolo 16

Jimmy rimase per vari secondi a bocca aperta.
Davanti a lui una montagna di pelo colorato in movimento.
Sapeva che i triboli si riproducevano a velocità della luce, ma mai avrebbe pensato di ottenere quel risultato. Sembravano quasi le palline di plastica che si usavano nelle piscine del parco giochi per i più piccoli.
Ridacchiò mentre Karagg iniziava a grugnire e sputacchiare… pareva quasi volesse vomitare.
Dal canto suo la montagna pelosa, alla vista del klingon, iniziò a vibrare e emettere suoni gutturali, per nulla amichevoli.
Per un attimo le due parti si fronteggiarono come lo sceriffo ed il bandito nei vecchi film western… poi Karagg mollò la presa su Jimmy per impugnare il phaser e, imprecando, iniziò a sparare sulla valanga di pelo che si avvicinava sempre più.
Jimmy non aspettava altro: approfittando della distrazione, iniziò a correre nella direzione opposta.
Era sicuro… sulla navetta che aveva chiesto di attraccare c’erano Spock e Bones.
Erano finalmente venuti a riprenderlo, doveva solo raggiungerli.

“Comandante, non riesco a comunicare con nessuno dei ponti inferiori” la voce di Kalitta era preoccupata e tesa.
“Contatta Karagg” ordinò Moklor, agitandosi sulla sedia di comando.
“Non risponde neppure lui…” fece Kalitta dopo alcuni secondi.
“Prova con la sala motori” fece ancora Moklor, il viso sempre più accigliato.
“Signore… non capisco che cosa sta succedendo…” rispose il primo ufficiale, sempre più tesa.
“Metti in viva voce”
“Per Kahless… ma quanti sono… no! Non fateli entrare nel settore del nucleo a curvatura… che schifo…”
La voce dell’ingegnere a stento si sentiva, sovrastata da grida e squittii vari.
“Qui Moklor. Ma cosa sta succedendo?” urlò Moklor nel tentativo di farsi rispondere.
“Triboli… signore… siamo invasi dai triboli. Hanno raggiunto la cambusa… sono migliaia” rispose alla fine una voce nell’interfono.

“Ma che….” balbettò incredulo McCoy, uscendo cauto dalla navetta.
Davanti a lui non c’erano feroci klingon, ma pallette di pelo a piccoli mucchi, praticamente ovunque, che iniziarono a tubare appena avvertita la loro presenza.
In lontananza si udivano colpi di phaser e grida di disgusto.
“Ma da dove sono spuntati?” chiese a bocca aperta uno degli ufficiali della squadra di sicurezza.
“Jimmy aveva con sé un tribolo quando l’hanno rapito…” ragionò subito Spock.
“Quel piccolo furfante…” sorrise McCoy.
“Signori, non distraiamoci. Dobbiamo trovare Jimmy. Procediamo con cautela. Phaser su stordimento, ma sparate a vista. Proveremo alle celle di sicurezza, se non è lì, andremo al ponte di comando”
“Vuoi entrare sul ponte di comando? Sul serio?!?” chiese incredulo il medico
“I vulcaniani sono sempre seri dottore”

“Andate tutti giù ed aiutate a sterminare quelle cose disgustose. Usate le camere di compensazione per buttarli fuori dalla nave, non i phaser che potrebbero provocare danni allo scafo” ordinò Moklor.
Tutto il personale del ponte, tranne Kalitta, si alzò dalla propria postazione per dirigersi ai ponti inferiori.
“La navetta romulana?” chiese il comandante.
“Ha attraccato. Ma non sono riuscita a contattare la squadra di sicurezza”
“Magnifico!!! Ora abbiamo la nave invasa da animali disgustosi e un manipolo di romulani che se ne va in giro indisturbato” urlò imbestialito Moklor.
“Calmati. Non andranno lontani e gli serviamo per riparare il motore”
“Sarà meglio che li blocchiate subito… non voglio altri problemi. Fai in modo che Karagg risponda”
“E’ tutta colpa di quel piccolo schifoso umano” borbottò Kalitta.
Moklor si girò a guardare la moglie.
“Se non sbaglio tu hai insistito perché lo prendessimo. E’ sulla nave perché tu e Karagg mi avete convinto” scandì.
“Era l’unica speranza di salvarti la vita” balbettò di nuovo la donna.
Moklor si alzò e raggiunse la postazione di Kalitta.
“Davvero moglie? Davvero vuoi che io viva?” chiese girando il sedile e costringendola a guardarlo negli occhi.
“C…certo”
Moklor guardò ancora la donna senza dire nulla.
“Trova Karagg e digli di bloccare i romulani” ordinò poi con voce gelida.

Jimmy avanzava veloce come poteva fra il vero e proprio fiume di palle di pelo in cui si erano trasformati i corridoi della Pagg.
Avanzando si era anche arrampicato e aveva aperto le botole che davano nei tubi di Jeffries, consentendo così ad altri centinaia di animaletti di piombare al suolo.
Ogni tanto era costretto a nascondersi dietro le paratie, appena vedeva qualche klingon, ma per ora tutti erano troppo occupati a cercare di liberarsi dei triboli per badare a lui.
A Jimmy stringeva il cuore vedere usare i phaser sulle piccole palle di pelo… anche se era strano vedere come alcuni klingon, totalmente disgustati e sovraeccitati, finivano per spararsi tra loro.
Nel vero e proprio caos che ormai regnava sulla Pagg, Jimmy pensò a come poteva farsi rintracciare dai suoi amici.
Escluso che potesse tornare nella cella ai piani inferiori pensò che, non trovandolo lì, gli altri lo avrebbero cercato sul ponte di comando.
Era lì che doveva arrivare.
Veloce come uno scoiattolo si intrufolò nei tubi ed iniziò a salire verso la plancia.

“Karagg… ti avevo detto di trovare e bloccare i romulani” ruggì Moklor appena vide il terzo in comando entrare sul ponte di comando.
“Ho mandato una squadra a cercarli. Non saranno lontani, probabilmente sono diretti in ingegneria” rispose stizzito l’ufficiale, aggiustandosi la divisa.
“Non ti avevo detto di mandare una squadra, ma di cercarli personalmente” la voce di Moklor ora era quasi un ringhio.
Karagg lo guardò con aria di sfida.
“Sinceramente, comandante, mi sembra che in questi momenti tu non sia in grado di prendere decisioni sensate”
Moklor non sembrò intimidito.
“Guarda in che condizioni ci hai messo… la nave è invasa dai triboli, abbiamo a bordo dei romulani cui tu hai dato il permesso di attraccare. Mi chiedo cosa dirà il Consiglio su tutto questo” continuò Karagg.
“E tu sei pronto a riferire tutto, giusto?” fece ironico Moklor.
“Sei malato, non sei più in grado di comandare questa nave”
Moklor restò per un attimo in silenzio e poi iniziò a ridacchiare.
Guardò verso Karagg e Kalitta con aria di disgusto.
“Avete già organizzato tutto, vero? State solo aspettando la mia morte”

Jimmy era arrivato al ponte più alto e stava aspettando, nascosto dietro una delle paratie.
La plancia sembrava l’unica parte della nave immune dall’invasione dei triboli, ma il ponte era praticamente deserto; Jimmy sentiva solo la voce di Moklor, di Kalitta e di Karagg.
Si impose la pazienza ed il silenzio. Sapeva che Spock e Bones stavano arrivando, ne era sicuro: tutto quello che doveva fare era aspettare. E lui era bravissimo a nascondersi ed aspettare.
Dalle voci intuiva che i tre klingon erano decisamente arrabbiati tra loro, e Jimmy pensò che probabilmente il comandante Moklor aveva finalmente capito che Kalitta preferiva fare le coccole a Karagg e non a lui.
Jimmy iniziava a provare simpatia per Moklor; se aveva capito bene era molto malato, ed in fondo non era colpa sua se la nave era invasa dai triboli; la colpa era di quel tonto di Karagg che non lo aveva perquisito.
Si morse il labbro mentre i tre parlavano di lui.
Si stava chiedendo da quando lo avevano catturato cosa volessero i klingon da lui, ed ora stava intuendo che la cosa aveva a che fare con la malattia di Moklor.
Aveva fame e sonno e voleva disperatamente tornare a casa sull’Enteprise, infilarsi nel suo letto e ascoltare Bones che raccontava storie buffe sulla loro nave stellare ed il suo capitano coraggioso, ma anche totalmente incosciente e “capace di fargli venire tutti i capelli bianchi”.
Stringendo i denti si disse che doveva solo aspettare, resistere un altro po’ ed i suoi amici sarebbero arrivati.
Stava quasi per assopirsi, preso dalla stanchezza, dietro la paratia, quando i triboli che aveva nascosto nella borsa a tracolla percepirono la presenza dei klingon, vibrando e gorgliando forte.
“Shhhh” cercò di calmarli Jimmy, con scarso risultato.
I triboli iniziarono ad agitarsi sempre più forte, sino a che una mano robusta non lo tirò fuori dal suo nascondiglio.
“Lurido insetto… hai portato tu queste cose a bordo?” urlò Karagg, mentre lo sollevava per il colletto della maglietta, strappandogli la borsa.

“Karagg, lascia stare il cucciolo umano” intimò Moklor quando il terzo in comando tornò in plancia trascinando Jimmy.
Incurante dell’ordine, Karagg prese a scuotere violentemente il bambino.
“Ti ho detto di lasciarlo andare. Subito!!!” ordinò di nuovo il comandante.
“Perché? Credi che il suo sangue ti possa salvare? Ti illudi, marito, nulla ti può salvare…” intervenne Kalitta, con aria quasi trionfante.
Moklor guardò i due con sguardo gelido.
“Perché lo avete preso?” chiese di nuovo.
“Per coprirti di vergogna… un klingon che cattura un bambino umano ed è disposto ad ucciderlo solo per non affrontare la morte… o meglio ancora farnetica, dicendo a tutti che è il capitano Kirk dell’Enterprise”
Moklor ridacchiò.
“Ecco… ora capisco. Vuoi mia moglie ed il mio casato, giusto Karagg?”
“Sì… quando sarai morto con disonore, nessuno mi impedirà di prendere in sposa Kalitta…. e di certo il Consiglio non affiderà le sorti del tuo casato a quell’incapace di tuo fratello, dopo che avrai ricoperto il nome della tua famiglia di disonore” rispose il klingon stringendo sempre più forte la presa sul collo del bambino.
Moklor si girò verso la moglie.
“Che stolto sono stato a credere che mi rispettassi” disse con disgusto.
“Ti ho amato e rispettato. Ma non mi hai dato figli maschi… ed ora stai morendo. Devo tutelarmi. Io e Karagg sappiamo cosa vogliamo”
“Ti illudi mia cara… perché io ti ripudierò appena arrivati su Kronos. Anche se morirò con disonore tu non erediterai il casato”
“Devi arrivare vivo su Kronos per ripudiarmi…” scandì Kalitta impugnando il phaser.

Jimmy non riusciva proprio a respirare.
La mano di Karagg lo teneva stretto, così stretto che non riusciva a tirare il respiro.
Era come quando Frank, completamente ubriaco, l’aveva sorpreso a leggere un libro sulle navi stellari al posto di pulire il capanno.
Lo aveva stretto forte al collo, ed anche allora Jimmy aveva pensato che forse stava per morire ed andare in cielo da papà.
Ma quella volta Sam era arrivato quasi subito, ed aveva scagliato sulla testa di Frank il bastone da baseball, prima di scappare entrambi dai vicini.
Ora invece non arrivava nessuno e Karagg stringeva forte, così forte che vedeva tutti i puntini neri davanti agli occhi.
Poi come in un sogno gli parve di sentire una voce familiare.

“Lascialo… ora! O giuro che a costo di scatenare una guerra intergalattica il tuo cervello finisce sul pavimento” intimò Hendorff, puntando il phaser su Karagg.
“Ma che….” balbettò il klingon.
“Non sembrano romulani eh?” ridacchiò Moklor, mentre il resto della squadra dell’Enterprise entrava, armi spianate, sulla plancia di comando.
Karagg allentò la presa su Jimmy, che iniziò a tossire violentemente, ma non lo lasciò andare.
“Jimmy!!” urlò McCoy alla vista della scena, abbastanza lucido però da strappare il phaser dalla mano di Kalitta.
“Lascia andare il bambino… immediatamente, non lo ripeterò una seconda volta” intimò Spock, puntando anche lui il phaser su Karagg.
“No, abbassate voi le armi, altrimenti sarà il suo cervello a finire sul pavimento” rispose Karagg mentre estraeva il phaser e lo puntava alla testa di Jimmy, che gli ciondolava ancora un po’ confuso fra le braccia.
Sulla plancia calò il gelo.
Spock ragionò velocemente; erano in maggioranza numerica, ma c’erano poche possibilità di riuscire a colpire Karagg senza colpire Jimmy e soprattutto senza correre il rischio che il klingon gli sparasse.
“Karagg, metti a terra il bambino umano e restituiscilo a loro” ordinò Moklor alto e fiero.
“Hai finito di darmi ordini. Mettete tutti a terra i phaser” urlò Karagg premendo l’arma contro la tempia di Jimmy.
McCoy emise un gemito di terrore, mentre guardava verso Spock.
Il vulcaniano con calma e senza dire una parola, si chinò e mise il suo phaser a terra, subito imitato dagli altri.
“Fra poco arriveranno gli altri, Karagg. Per voi due è comunque finita” disse calmo Moklor
“Sparagli, spara a Moklor… diremo che sono stati gli umani” urlò Kalitta.
Un sorriso diabolico si dipinse sulla faccia di Karagg.
Veloce puntò il phaser su Moklor.
“NO!!” urlò Jimmy dimenandosi.
Il dito stava per premere sul grilletto, quando il klingon avvertì un forte dolore al polso.
Il colpo partì ugualmente ma finì sulla paratia a pochi centimetri dalla testa di Moklor; solo dopo alcuni istanti Karagg si accorse di quello che era successo: il piccolo umano lo aveva morso con forza incredibile.
Prima che chiunque potesse reagire, Karagg scaraventò con forza inaudita Jimmy contro la paratia, dove il bambino si accasciò come un burattino cui erano stati tagliati i fili.

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Re: IL DONO

Messaggio da Maty » 5 set 2016, 17:12

Ci avviamo alla conclusione... spero che non sia troppo lunga e noiosa la storia

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Re: IL DONO

Messaggio da Miles » 5 set 2016, 22:21

Maty ha scritto:Ci avviamo alla conclusione... spero che non sia troppo lunga e noiosa la storia
Ti rispondo con i modi affabili dei Klingon: Scrivi e posta!!!!!!
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Re: IL DONO

Messaggio da Maty » 10 set 2016, 14:56

Capitolo 17
Sapeva che era fisicamente impossibile, eppure McCoy poteva giurare che il suo cuore aveva smesso di battere alla vista di Jimmy, lanciato come un fantoccio da un bimbo capriccioso, contro la paratia.
La vista del piccolo corpicino immobile lo mandò nel panico assoluto: per un attimo restò completamente imbambolato, incapace di fare qualsiasi cosa.
L’unica cosa che riusciva a vedere con la coda dell’occhio, come in una nebbia, era Spock: con un ringhio animalesco si lanciava contro Karagg e, con una torsione del polso, gli strappava il phaser. A McCoy sembrò di sentire netto il rumore delle ossa che si spezzavano, subito prima che il vulcaniano sollevasse il klingon di peso, tenendolo per la gola.
“Ti prego… fa che sia vivo” McCoy si ritrovò a pregare qualsiasi divinità disposta ad ascoltarlo, mentre finalmente entrava di nuovo in ‘modalità medico’ e si precipitava da Jimmy.
“Ti prego, ti prego… tutto, ma non questo….” continuò a pregare il medico mentre azionava il tricoder.
“Forza piccolo, apri gli occhi” balbettò, mentre non riusciva a trattenere le lacrime.


“Se lui muore, se gli hai fatto del male, ti strappo la lingua e gli occhi, e poi ti rinchiudo in un inferno mentale di tua stessa creazione… ogni singolo istante della tua vita pregherai che qualcuno finalmente ti uccida” ruggì Spock, mentre teneva Karagg sollevato da terra, stringendolo sempre più forte alla gola.
“Lascia a me questo traditore…. la punizione per quello che ha fatto è la morte” scandì Moklor.
Ma Spock non stava a sentire, continuava a stringere sempre più forte, completamente concentrato sulla sua vendetta.
Solo il primo piccolo lamento di Jimmy lo distrasse dal suo intento.


“Sì piccolino, così… bravo… guardami… siamo qui….”
McCoy sentì come se un enorme masso gli fosse sceso dal cuore alla vista dei piccoli occhi azzurri che lo guardavano confusi.
“Bones…” balbettò Jimmy.
“Sì sono qui….” rise fra le lacrime il medico, mentre continuava a studiare il tricorder.
“Mi fa male il braccio….” si lamentò il bambino, cercando di muovere il braccio destro.
“E’ rotto Jimmy, ma guarirà presto. Ora non lo muovere, ti dò qualcosa per farti passare il dolore”
Con le mani che tremavano, McCoy estrasse un hypospray dal suo kit di emergenza e lo iniettò nel collo del bambino, che immediatamente si rilassò.
“Ho avuto paura, Bones… ho cercato di essere coraggioso, ma non arrivavate mai. Voglio tornare a casa…” singhiozzò il piccolo, mentre McCoy lo prendeva in braccio e lo cullava facendo attenzione al braccio.
Caduta la tensione, Jimmy si era spogliato della sua spavalderia, ed era tornato un piccino spaventato di cinque anni.
“Sì, ma ora siamo qui. Guarda, c’è anche Spock…” lo consolò McCoy, mentre cercava di non scoppiare di nuovo a piangere.
Jimmy si girò verso il vulcaniano, con un mezzo sorriso tra le lacrime.
“Come stai piccolo umano?” chiese Moklor avvicinandosi.
“Quel bastardo gli ha rotto il braccio…” sibilò McCoy, ottenendo una maggiore stretta di Spock su Karagg, che iniziava ormai ad ansimare pesantemente in cerca di ossigeno.
“Sei stato un piccolo guerriero molto coraggioso. La mia gratitudine per avermi salvato la vita” scandì il comandante klingon.
Jimmy annuì, strofinando il viso nell’uniforme di McCoy.
“Ti ripeto Vulcan, lascia questo traditore a me. L’unica punizione possibile è la morte” fece poi girandosi verso Spock.
Ma Spock ancora una volta non lo stava a sentire, gli occhi neri di rabbia profonda.
“Spock…” chiamò McCoy, senza risultato.
“Spock.. lascialo… il bambino sta guardando…” disse ancora McCoy, stringendo Jimmy.
Finalmente il vulcaniano riprese lucidità.
“Stai bene?” chiese mentre mollava la presa, facendo cadere a terra Karagg con un tonfo.
“Male al braccio…”
“Sta bene Spock, solo una piccola commozione cerebrale ed il braccio rotto. Siamo stati fortunati…” rispose il medico, mentre baciava il piccolo sulla testa.
Proprio in quel momento il ponte fu invaso dai klingon.


“Arrestate immediatamente il primo ufficiale ed il terzo in comando. Il Consiglio li giudicherà per il loro tradimento” ordinò Moklor ai suoi ufficiali, che erano rimasti increduli a guardare la scena che gli si parava loro davanti.
Kalitta cercò di raggiungere il marito mentre la portavano via.
“Moklor… sono stata una brava moglie per te… mi devi qualcosa…” balbettò, mentre veniva strattonata in avanti.
“Tu mi dovevi fedeltà, quale moglie e mio primo ufficiale. Mi spiace solo di non essermi accorto di quello che stava succedendo” rispose sprezzante il comandante.
“Posso conoscere la ragione per cui avete deciso di rapire il bambino?” chiese Spock. La sua voce era di nuovo calma, così come il suo aspetto, ma gli occhi conservavano ancora furia repressa.
“La circostanza mi riempie di disonore” rispose Moklor abbassando lo sguardo.
“Perché è malato…” intervenne Jimmy con voce sottile.
“E’ molto malato e per guarire gli serve il mio sangue. Se vuoi puoi prenderne un po’” fece Jimmy mostrando il braccio sano.
McCoy strinse la mascella nel tentativo di trattenere le lacrime, mentre stringeva il bambino in grembo. A qualunque età la generosità di Jim Kirk era enorme.
“Questo ti fa onore piccolo guerriero. Ma non è necessario. Mi sono già ricoperto di vergogna e accetterò il mio destino. Torna in sicurezza alla tua nave”
“Vulcaniano…spero che tu voglia perdonare quanto è successo. Hai bisogno di assistenza per la tua navetta?”
Spock aveva ripreso il suo aspetto stoico.
“No, non abbiamo bisogno di nulla”
“I miei uomini vi scorteranno” fece alla fine Moklor.
McCoy si alzò stringendo Jimmy fra le braccia.
“Ti manifesto ancora la mia gratitudine piccolo guerriero. Se posso fare qualcosa per te…”
Jimmy guardò il klingon stringendosi a McCoy.
“Non ucciderli… non uccidere nessuno ti prego. Karagg è solo stupido, non mi ha perquisito e non si è accorto che nella borsa avevo un tribolo. E ti prego salva i triboli… sono stato io a farli moltiplicare, non è colpa loro”
Moklor rimase un attimo in silenzio.
“La sorte di Karagg e Kalitta sarà stabilita dal Gran Consiglio. Quanto ai triboli… beh, troveremo una soluzione, hai la mia parola”
“Addio piccolo guerriero” salutò Moklor mentre gli uomini dell’Enterprise uscivano per dirigersi verso la navetta.


McCoy aveva lasciato Jimmy con Hendorff, per procurarsi il necessario ad immobilizzare il braccio del bambino.
Tutti stavano in silenzio mentre Spock, alla guida della navetta, la portava fuori dall’hangar e poi impostava la rotta per raggiungere l’Enterprise.
McCoy sorrise quando sentì le vere e propria grida di giubilo di Uhura, mentre Spock comunicava che stavano tornando con Jimmy.


La tranquillità della navetta fu interrotta dal pianto sommesso di Jimmy.
Immediatamente McCoy si alzò e raggiunse Hendorff ed il bambino sul retro della navetta.
Jimmy stava rannicchiato contro il gigantesco capo della sicurezza, mentre i singhiozzi lo scuotevano.
L’ufficiale, visibilmente rosso in viso, tratteneva a stento le lacrime, mentre carezzava il bambino sulla schiena.
“Che cosa è successo?” chiese McCoy preoccupato.
“Ha capito che Lisa Wells è morta” rispose piano Hendorff.
A McCoy si strinse il cuore.
Da adulto Jim Kirk sentiva un bisogno quasi viscerale di proteggere il suo equipaggio e reagiva malissimo ogni volta che perdeva qualche membro.
“Vieni qui, piccolo” fece McCoy, mentre prendeva il bambino in braccio.
Jimmy si avvinghiò con forza al medico.
“E’ colpa mia… non dovevo venire con voi su Gemini” singhiozzò fra le lacrime.
“No no no… Jimmy non è colpa tua. La colpa è di chi ti ha rapito e di Kalitta che ha sparato. Lo so che è difficile da capire, ma Lisa amava il suo lavoro e sapeva che poteva succedere questo. Lei ti voleva bene, come tutti noi…”
Jimmy non rispose, continuando a piangere.
“E’ in cielo con il mio papà?” chiese piano.
“Sì proprio così… e con il suo papà e la sua mamma” rispose McCoy cullando il bambino.
“Ora tu devi bere il succo di mela e poi dobbiamo immobilizzare il braccio. Appena arrivati un paio di cicli sotto l’osteorigeneratore e sarà come nuovo” fece ancora McCoy mentre le lacrime scendevano.
“Non puoi aiutare Moklor?” chiese Jimmy mentre i singhiozzi andavano calmandosi.
“Jimmy… non lo so…”
“Tu sai guarire tutti, ti prego… non è cattivo…”


“Un’ora all’arrivo, dottore” disse Spock, sedendosi accanto al medico che teneva il bambino in grembo.
Il braccio di Jimmy era stato steccato ed il piccolo dormiva profondamente, cercando ogni tanto la posizione più comoda.
“Sta bene?” chiese il vulcaniano guardandolo con aria preoccupata.
“Sta bene, ma il solo pensiero di quello che poteva succedere…” rispose McCoy accarezzando i capelli di Jimmy.
Spock rimase per un po’ in silenzio, seduto accanto al medico.
“Dottore, volevo scusarmi per la perdita di controllo che ho manifestato sulla Pagg. Me ne dolgo profondamente…”
“Beh Spock… se ne avessi avuto la possibilità avrei fatto anche di peggio, credimi” rispose McCoy pensieroso.
“No, non ci sono scusanti, ho esposto Jimmy ad una manifestazione di violenza non idonea al suo benessere psicologico”
“Spock… Jimmy, come sai, non è estraneo alla violenza”
“Sì, ma è nostro compito preservarlo, quando è con noi” fece con aria seria il vulcaniano.
“Ha una mente davvero brillante… servirsi dei triboli e gettare discordia nell’equipaggio. E’ un ottimo stratega” continuò poi, con quello che sembrava un leggero sorriso.
“Sì è un ragazzino dalle mille capacità, ma sai bene quanto me che non possiamo andare avanti così. E’ pericoloso tenerlo su di una nave stellare. Stavolta è andata bene… ma non possiamo bloccare un bambino al chiuso, senza mai vedere il sole”
Spock annuì pensoso.
“E’ ora di prendere una decisione Spock, anche perché i sei mesi stanno per scadere”
Spock guardò avanti a sé, in apparenza senza emozioni, ma McCoy vedeva la tensione nei suoi occhi.
“Dottore, sappiamo bene qual è a questo punto l’unica soluzione giusta e praticabile: Jimmy starà con lei sulla Terra”
“Spock, io non…”
“Mi lasci parlare, dottore” interruppe il vulcaniano.
“In questi mesi ho avuto modo di ripensare alla mia infanzia. Quanto era piccolo spesso manifestavo fastidio alle dimostrazioni di affetto di mia madre. Ora mi dolgo per non averne apprezzato l’importanza”
“Doveva essere una donna meravigliosa”
“Lo era dottore. Era una madre attenta e premurosa. E molto dolce. Ma io non le ho mai manifestato il mio affetto apertamente”
“Oh… queste cose le madri le sanno, senza bisogno di parole”
“Quello che voglio dire è che Jimmy ha diritto alle stesse manifestazioni di affetto e cura che sono state riservate a me. E queste cose lei può garantirgliele, dottore, io no ”
“No, Spock, questo non è vero, tu saresti un ottimo genitore”
“I bambini umani hanno bisogno di cure psicologiche che l’educazione vulcaniana non può garantire. Lei si è dimostrato un genitore meraviglioso. E poi ha una famiglia in grado di assicurare a Jimmy l’affetto e la cura che gli spettano”
McCoy sorrise al pensiero di vedere Johanna e Jimmy crescere insieme.
“Pensi mai a Jim… voglio dire alla sua versione adulta?” chiese McCoy, mentre accarezzava i capelli del piccolo.
“Continuamente. Avverto molto la sua mancanza”
“Ho paura che non lo rivedremo più. Come mi ha fatto notare Uhura, crescendo Jimmy non sarà il Jim che abbiamo conosciuto” fece McCoy con aria triste
“Questo è sicuramente vero. Ma l’unica cosa che possiamo fare è onorare il dono fatto dalla regina betariana, dando a Jimmy la migliore infanzia possibile”
“Sì lo so… così non vivrà la maggior parte delle angherie che gli ha fatto passare Frank. E non andrà su Tarsus. Ma non posso fare a meno di chiedermi se il fatto che non viva queste situazioni orribili ne farà una persona diversa, completamente” mormorò McCoy.
“Dottore, lei parte a mio giudizio da un presupposto sbagliato: ovvero che l’infanzia spaventosa che ha vissuto Jim Kirk l’abbia forgiato nella persona eccezionale che abbiamo conosciuto. Io invece penso che Jim Kirk era la persona eccezionale che abbiamo conosciuto ‘nonostante’ la sua infanzia spaventosa. Probabilmente sarà una persona ancora migliore, se possibile, senza le esperienze traumatiche che è stato costretto a sopportare”
McCoy rimase in silenzio.
“Stiamo per arrivare. Sarà meglio che rilevi i comandi dal tenente Hendorff” concluse Spock alzandosi.
“Spock… io posso crescerlo solo fino ad un certo punto. Lui è nato per stare fra le stelle. Quando avrà diciotto anni nulla lo terrà lontano dalla Flotta e dallo spazio. E allora toccherà a te. Io sarò troppo vecchio per inseguirlo in giro per le galassie”
Spock annuì pensieroso.
“Dottor McCoy, voglio che lei sia cosciente di una cosa: anche se lascerete l’Enterprise, noi tutti siamo e resteremo sempre una famiglia per Jimmy”

Maty
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Re: IL DONO

Messaggio da Maty » 10 set 2016, 14:57

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