intervista j.j abrams

Kirk, Spock, Mcoy..etc ritornano in azione, in una nuova realtà dove ancora i loro destini sono da scrivere...
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serbat
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intervista j.j abrams

Messaggio da serbat » 15 mag 2009, 19:00

Qual è stato il suo approccio?

Non sono mai stato un fan di Star Trek da ragazzino e quindi, quando mi sono avvicinato a questa produzione, avevo dalla mia il vantaggio di un approccio dall’esterno. Non mi sono mai sentito ‘limitato’ dalle storie preesistenti e, pur rispettando i fan, ho voluto realizzare un film destinato soprattutto a chi Star Trek non l’ha mai amato particolarmente e soprattutto ai nuovi appassionati. È ovvio che escludere un gruppo di appassionati tanto vasto, facendo un film apparentemente ‘blasfemo’, sarebbe stato altrettanto sbagliato, quindi ho preferito realizzare una pellicola che, nelle mie intenzioni, si rivolgesse agli uni e agli altri. Mi sono avvicinato a questo progetto come produttore. Poi, mi sono così tanto innamorato dei suoi personaggi, della sua storia e del suo ‘grande cuore’, al punto dal diventare geloso nei confronti di qualsiasi altro regista che avrebbe voluto o potuto dirigerlo al posto mio. La serie di Star Trek è, da sempre, un emblema di un certo ottimismo…

A partire dal suo titolo (che significa il “percorso tra le stelle”, n.d.r.) Star Trek ha sempre

il passato ed il futuro. ingrandisci

restituito al pubblico una certa visione ottimista della vita e del futuro secondo cui tra centinaia di anni la gente collaborerà non solo tra le razze, ma anche tra le varie specie del cosmo, viaggiando nello spazio verso spazi sconosciuti dell’Universo. Il senso di curiosità e il desiderio di collaborazione prevarrà su tutto il resto.
Qual è il suo primo ricordo di Star Trek?

Quando ero alle elementari un mio compagno di classe era follemente innamorato di Star Trek. Così mi sono imposto di farmi piacere la serie esattamente quanto lui la amava. Non ci sono mai riuscito. È un pensiero che mi è venuto in mente qualche tempo fa in sala di montaggio dove ho visto il mio nome associato a quello di Gene Roddenberry nei titoli di testa. Mi sono rivolto al montatore e ho detto: “Abbiamo fatto un film di Star Trek: non è un po’ strano?!”. Questa è la cosa più bizzarrra: avere fatto un film come questo senza esserne mai stato davvero un fan.
Cosa distingue il suo lavoro in maniera radicale dalla serie?

Sicuramente l’azione. Non ce ne era molto nella serie originale, né nei film. La cosa più importante, però, era riu-scire a creare una connessione speciale tra lo spettatore e tutti i personaggi. I miei film preferiti sono quelli come Matrix e Guerre Stellari in cui una persona qualsiasi rivela talenti incredibili che portano lo spettatore a fare un viaggio pazzesco in una storia assolutamente imprevedibile. Star Trek, invece, è sempre stato un qualcosa dove veniva dato per scontato l’amore per i personaggi, mentre a me interessa che il pubblico possa ritrovare e riconoscere qualcosa di se stesso nei protagonisti. Mi interessava scoprire come delle persone normali potessero diventare gli eroi che tutti conosciamo, anziché prendere dei personaggi noti e condurli verso la loro prossima avventura. La scienza e la fantascienza non sono l’elemento principale del mio film, mentre i personaggi sono al centro della narrazione. Nessuna storia ha senso se l’elemento umano non è al suo centro. L’avventura senza personaggi che ami è solo rumore e noia…
Dal punto di vista tecnico oltre agli effetti visivi lei sembra avere dato ancora una volta molto spazio all’elemento sonoro…

Per me la musica e i suoni di un film rappresentano il 51% del lavoro. Lei è un grande appassionato del volo…

Sì, ogni volta che decollo mi sembra strano che un aereo riesca staccarsi da terra e a volare. Da piccolo ero ossessionato da tutti i film sui disastri aerei della serie Airport. Quella di volare è una fascinazione che mi porto dentro da sempre così come quella per il tempo. Mi piace confondere il pubblico e obbligarlo a capire dove si trova e in quale contesto. So che può confondere qualcuno, ma adoro, come spettatore, non sapere esattamente dove mi trovo.
Quando è nata la serie originale c’era una guerra: quella in Vietnam. Oggi c’è un altro conflitto in Iraq. È un caso?

La prima direttiva, ovvero il non volere interferire negli affari altrui, era un ottimo modello di comportamento anche se, come sappiamo, Kirk trovava il modo di violare questa regola quasi in ogni episodio. Credo che, in tempi bui come questi dal punto di vista economico e sociale, vedere storie piene di speranza costituisca un arricchimento per il pubblico.
Lei ha reinventato un franchise come Mission: Impossible, poi i film dei mostri con Cloverfield e adesso Star Trek: come fa ad avvicinarsi a questi classici e a “gerovitalizzarle”?

Quello che faccio, ogni volta, è guardare al lavoro dalla prospettiva del pubblico, di cui mi considero parte. Il mio intento è portare sullo schermo quello che vorrei vedere io per primo come spettatore. Mi interessa un approccio a quello che mi piace, che mi emoziona, a ciò che ho amato da ragazzino e che, come Star Trek, forse, non ho nemmeno del tutto capito. Non rifaccio solo le cose che mi piacevano da ragazzino, altrimenti non avrei mai lavorato su Star Trek. Il mio desiderio è trovare un punto di ingresso in una storia e in un progetto, sviluppandolo.
E questo basta?

Sono convinto che qualsiasi storia, se è ben fatta, possa rivelarsi molto interessante per tutti gli spettatori. Io non credo all’idea secondo cui il pubblico è frammentato. Penso che se un film è buono, tutti andranno a vederlo indipendentemente dal suo pubblico di riferimento. Una bella canzone resta una bella canzone indipendentemente dal suo genere e noi l’ascolteremo. Bastano trenta secondi per amare un gran pezzo musicale e lo stesso dicasi per il cinema. Se un film è buono, il pubblico lo amerà a prescindere da tutto. La chiave del mio lavoro è questa: prendere il meglio delle storie che racconto e lavorarci su ponendomi un sacco di domande. Tutti i generi sono rilevanti e potenzialmente interessanti anche per un pubblico che immagina di avere visto tutto. A me non interessa se si tratta di una commedia romantica, di un film sui mostri o di un’avventura nello spazio: credo che la cosa più importante resti sempre la qualità della storia che stiamo tentando di raccontare. Si tratta di un esperimento: alle volte funziona, altre no. Quando mi sono avvicinato a questo progetto non ho pensato a un film di Star Trek, bensì a una storia fatta di personaggi interessanti e intriganti che, per pura coincidenza, facevano parte della saga di Star Trek. Star Trek è una serie che riparte dalle sue origini esattamente come il Batman di

Gene Roddenberry, il creatore di Star Trek

Christopher Nolan e il James Bond con Daniel Craig. È una coincidenza o il segno dei tempi?

Gli Studios, oggi, sono dominati da una corporate mentality secondo cui è più facile vendere qualcosa che la gente conosce o comunque con cui ha familiarità, piuttosto che inventare qualcosa di completamente nuovo. Una mentalità che considero sbagliata, in quanto è sempre preferibile misurarsi con idee nuove, piuttosto che lavorare più volte sugli stessi materiali. So che è una dichiarazione abbastanza stupefacente, perché proviene dal regista di Star Trek e Mission Impossible 3, ma al tempo stesso sono anche abbastanza convinto che i remake possano diventare oggetti di sperimentazione particolarmente interessanti a patto che il titolo non costituisca un ostacolo per provare a fare qualcosa di nuovo. I registi non devono passare la mano rispetto all’opportunità di realizzare storie che siano stimolanti, divertenti e convincenti solo perché sono state già fatte da qualcun altro. La saga di James Bond ha scelto una direzione più violenta e realista, mentre Il Cavaliere Oscuro è un film molto cinico e dark. Star Trek sarà molto diverso, perché nonostante tutti gli eventi spettacolari e spaventosi che si vedranno, resterà una pellicola molto ottimista con un grandissimo cuore. Non so se anche la mia versione avrà un successo in linea con quello dei nuovi 007 o Batman, ma quello che è certo è che noi siamo rimasti particolarmente fedeli al cuore di Star Trek senza proporre al pubblico l’ennesima visione pre o postapocalittica del futuro.
In questo senso ritiene che il messaggio di pace e di tolleranza di Star Trek sia ancora attuale?

Penso che sia più rilevante oggi che quaranta anni fa. So di parlare per me stesso, ma credo che più ci saranno storie in grado di proporre modelli positivi di accettazione del prossimo, meglio sarà per tutti quanti noi. Non che io voglia fare “il cinema secondo Pollyanna” o quello del punto di vista dello stupido, ma al tempo stesso credo che sia una buona cosa potere individuare un nuovo approccio narrativo, intelligente, saggio e di grande intrattenimento.
Crede che Hollywood resterà influenzata in qualche maniera dall’elezione di Barack Obama?

L’entertainment è per la sua stessa natura influenzato da tutto quello che lo circonda. Questo è uno dei motivi per cui, spesso, vedi uscire quasi contemporaneamente progetti molto simili tra loro. Le persone che raccontano storie non fanno altro che reagire costantemente a quello che vedono accadere intorno a loro. Se c’è un’assenza rilevante intorno a loro, non è una sorpresa che più di una persona reagisca anche a quello che non vede accadergli intorno. La notte in cui Obama è stato eletto, mi sono sentito ‘sollevato’ e pieno di speranza. Finalmente, dopo un blackout durato circa un decennio, avevamo eletto di nuovo un leader attento e ispirato, in grado di capire alla perfezione la comunità globale in cui tutti viviamo: la sua capacità di ispirare le persone è stata tanto a lungo assente dalla politica americana che sentirla di nuovo oggi mi ha fatto capire quanto mi sia mancata. In questo senso Star Trek porta con sé una grande speranza. Anche se lo abbiamo finito prima dell’elezione di Obama posso dire che è ispirato dallo stesso ottimismo che lui comunica a tutti quanti noi. Il messaggio finale di questo film è legato all’idea di comunità, di amicizia, di sopravvivenza e di speranza perfettamente in linea con quello che è accaduto la notte in cui Obama è stato eletto. Quando guardiamo un suo lavoro ci accorgiamo di una sorta di ‘tocco alla J.J. Abrams’, paragonabile a quello che avevano grandi autori della storia del cinema come Lubitsch o Kubrick. Qualcosa che rende ‘unico’ il suo lavoro. Lei riesce a spiegare razionalmente quello che lei vede e che gli altri sembrerebbero, invece, non vedere?

Sinceramente non so spiegare razionalmente quello che succede. La realtà è che il mio approccio a qualsiasi progetto è quello di riuscire a trovare degli elementi che mi danno i brividi. Erano questi stessi brividi a farmi emozionare da piccolo quando guardavo, per esempio, Ai confini della realtà. So che ai suoi lettori potrà sembrare stupido, ma io credo che quando qualcuno nella vita ti racconta qualcosa che ti emoziona, ecco che quella diventa una storia da esplorare. Il mio lavoro non è tanto quello di vedere, ma di emozionarmi nel racconto o nel suo ascolto da parte delle persone che lavorano con me. Puoi provare a intellettualizzare quanto vuoi, ma le cose che funzionano davvero sono quelle cui reagisci in maniera spontanea e immediata dicendo “Questa è davvero una grande idea!”. Quando scegli gli attori per i tuoi film e le tue serie televisive non operi seguendo la razionalità, ma seguendo l’istinto. È come quando ti innamori. Non si tratta di calcoli intellettuali, bensì di una scelta del cuore.
Alle volte non si sente un po’ come qualcuno in grado di “vedere i colori” in un mondo di Hollywood popolato troppo spesso da cineasti ed executive degli Studios “daltonici”?

La realtà è che tutto sta nell’essere fedeli al cuore del materiale con cui ti stai confrontando. Ovviamente la maniera migliore per farlo è prestare una grande attenzione anche a quello che accade fuori dalla storia, ovvero a quello che interessa davvero il punto di vista del pubblico. Se tu sei davvero interessato al tuo lavoro e non solo perché lo devi fare, ma perché provi una grande passione per quello che racconti, ci sono buone probabilità che il pubblico risponderà in maniera entusiastica. Io credo che il pubblico, oggi come sempre, sappia distinguere quello che è solo un lavoro da quello che è proposto loro con una certa dose di passione.Non credo sia questione di essere daltonici, ma di essere appassionati. Quante volte ci capita di vedere film perfetti dal punto di vista estetico, ma che mancano dell’amore del proprio autore? Gli spettatori, in maniera assolutamente non razionale, sono perfettamente in grado di percepire la passione o la sua mancanza all’interno di una storia. La chiave del lavoro è avere quella passione che il pubblico percepirà anche quando, alla fine, il tuo progetto verrà decostruito in maniera razionale.
A proposito di razionalità: lei ha incontrato recentemente George Lucas. Che cosa vi siete detti?

George mi ha dato un consiglio: perché non metti delle spade laser in Star Trek? Ovviamente non gli ho dato retta…
Chi è il suo idolo come regista?

So che può sembrare un cliché, ma per me Steven Spielberg rappresenta il mio idolo. Sono cresciuto con il suo cinema e da piccolo ricordo di avergli scritto spesso delle lettere cui, devo ammetterlo, lui non ha mai risposto… Ha avuto una grandissima influenza sul mio lavoro e, in qualche inquadratura, credo si possa vedere come gli rendo omaggio. Il segreto, però, nel nostro lavoro è sempre quello di non copiare mai nessuno.

Intervista di Marco Spagnoli

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Messaggio da itamare76 » 15 mag 2009, 19:40

Serbat ricordati che in post come questo bisogna sempre citare la fonte da dove proviene la notizia.

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Messaggio da serbat » 15 mag 2009, 20:24

scusate---Fantascenza.com

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Messaggio da itamare76 » 16 mag 2009, 15:08

:wink:

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